segunda-feira, 26 de setembro de 2011

O Manifesto TRanscultural, de Armando Gnisci, traduzido para diversos idiomas

Manifesto transculturale

Armando Gnisci

16 maggio 2011, Roma

La Transculturazione deve sperimentare e promuovere pratiche critiche di azione transculturale tra i saperi contemporanei allo scopo di produrre una nuova cosmovisione comunitaria attraverso forme di azione creativa e di salute generale: tra le persone umane, tra generi e tra generazioni, tra le culture; tra le persone umane e le non-umane, tra i viventi e il pianeta abitato da noituttinsieme e il cosmo, di entrambi i quali siamo partecipi. Noi crediamo, ma non da soli, che il Multiculturalismo e l’Interculturalità siano due parole-concetti che debbono essere revisionati profondamente nell’Europa occidentale e nell’Unione Europea, dove abitiamo: il Multiculturalismo attraversa una evidente crisi politica, la Interculturalità, a sua volta, sembra una barchetta in balìa mediterranea di una crisi di senso. Noi pensiamo che la crisi politica, di recente annunciata clamorosamente dalla premier germanica Angela Merkel, rappresenti l’ultima conseguenza della persistente e confusa visione eurocentrica della politica unitaria degli europei uniti nel cerchio di stelle. Ma, anche, dal nostro punto di vista, l’esito della mancata decolonizzazione degli europei da se stessi, dall’essere stati e tuttora esserlo: coloni e padroni. Una richiesta che fu fatta negli anni 50 del XX secolo agli europei da due grandi intellettuali: uno francese e l’altro francofono, della Martinica antillana: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.

Le parole-concetti, multiculturalismo e interculturalità, sono state logorate dalla mancata, ma sempre più urgente, decolonizzazione delle nostre menti ancora coloniali: prima, nei confronti delle civiltà violentate da noi co-co [conquistatori-coloni] planetari della modernità, e poi riadattata in Europa per “accogliere” africani e asiatici, soprattutto, dopo la decolonizzazione incompiuta e fallita dei popoli da noi devastati, ma soprattutto come reazione alla recente Grande Migrazione dei “dannati della terra” negli stretti territori già superaffollati della coda peninsulare dell’Eurasia. L’Italia, ad esempio, conta 60 milioni di abitanti. Per sperare di essere “felici”, dovremmo diventare la metà, con il 20% di immigrati, in coevoluzione. Ripulendo tutto ciò che ricopre il Bel Paese: dall’immondizia dalle strade e dai campi, dal cemento e dall’eternit, dalla corruzione e dalla menzogna della vita politica, dalla sventura di essere la nazione europea unita più ammalata di criminalità, l’unica forma sociale che coevolva con la società civile anomizzandola, ammazzandola.
Gli europei oggi hanno scoperto di essere razzisti in casa propria. Questa specie di “neo-razzismo nella democrazia” è il sintomo più forte del fallimento della politica del multiculturalismo coatto e della interculturalità astratta che, nel migliore dei casi, possiamo definire: volenterosa e caritatevole. Noi crediamo che la crisi di quei modelli di adattamento sociale stia portando allo scoperto la rimozione nelle menti europee delle vecchie pretese coloniali (sia nelle antiche colonie che in casa) delle ex-potenze imperiali: l’assimilazione, la Francia, e l’integrazione: l’UK, la Germania e, molto confusamente, l’Italia. È necessario riconoscere che il nodo della grande relazione interculturale tra noi europei e le persone-moltitudini che vengono da noi, è distorto e ingiusto. I migranti, infatti, arrivano non per conquistarci e colonizzarci, ma per vivere con noi una vita più giusta e salutare in una nuova comunità transculturale da costruire insieme, in Europa. Invece, continuiamo a rimuovere questa “banale” visione coevolutiva. Perché può diventare minacciosa. Se continuassimo a pensarla per bene e fino in fondo, infatti, dovremmo arrivare alla presa d’atto che proprio e solo i migranti hanno la capacità di desiderare questa “utopia giusta e concreta”. Anzi, che sono loro oggi portatori di sana umanità e di futuro. Questa scoperta, invece che al panico identitario e alla rabbia razzista, dovrebbe portare gli europei a costruire una visione più larga della convivenza tra le genti. Come hanno fatto alcuni piccoli comuni del Sud dell’Italia, quel Meridione senza meridiano, quella terra senza ora, perché mai è stata la sua ora. Un paese devastato dalla povertà, dall’emigrazione e dalla criminalità. I calabresi hanno pregato i migranti arrivati come naufraghi nei barconi alle sponde del Mare Ionio, di rimanere insieme a loro nei piccoli paesi della Calabria: Badolato, Riace, Caulonia e altri, per darsi la vicendevole speranza di poter ri-vivere insieme una vita diversa. Per avere un’ora migliore. Il regista tedesco Wim Wenders, nel 2010, ha girato “Il Volo”, un documentario-narrativo su questo fenomeno non tanto di mera “accoglienza” quanto di proposta agli stranieri di ridarsi-vita insieme. Ma gli alti europei che governano le vite, di noi e degli altri e dei futuri, sono capaci solo di difendere i privilegi della civiltà moderna creata con la violenza e l’usurpazione: affari, in tutti i modi, e comando, sempre. Le macchine governative europee non sono capaci di assicurare ai migranti nemmeno un trattamento da civiltà “borghese e illuminata”: nemmeno una “porca politica” [come dice la figlia di Barney a Barney] adeguata a prevedere e a rimediare difficoltà e conflitti, leggi di polizia e razzismo, carità e solidarietà. Il che significa che non siamo capaci di pensare alcun futuro e tantomeno di preparare una società transculturale, insieme con chi la desidera, anche senza saperlo.
La Transculturazione è nata e prospera – come concetto antropologico culturale e come parola comune anche se di origine colta: transculturación e transculturação – nella parte centrale, in quella antillana e in quella meridionale del Mundus Novus delle Americhe. Come nazioni non povere ma impoverite e devastate, e non domate, dal colonialismo europeo e poi da quello nordamericano. La Transculturazione aiuta a riconoscere come evidente la storia propria di ogni cultura a ibridarsi con altre culture e a generare nuove forme “creole” e imprevedibili. Così come ci hanno insegnato Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Èdouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo Boff e tanti altri. Il pensiero e la prassi transculturali indicano che ciò avviene nella mutualità dello scambio e nella trasformazione imprevedibile, aldilà della violenza e del comando. Seguendo il pensiero latino-americano, vogliamo proporci come coloro che rispondono ad esso dalla parte europea, in contrappunto e in relazione. Noi abbiamo individuato ed articolato l’idea e il progetto della Transculturazione in tre movimenti, non tanto successivi quanto, invece, contemporanei e coevolutivi: Decolonizzazione, Creolizzazione e Mondializzazione, tutte mutue. Perché possiamo salvarci solo l’un l’altro, come scrisse il filosofo epicureo Filodemo di Gadara. Solo così la nuova poetica dell’Interessere e della Relazione può sostituire pacificamente, anche se implacabilmente, le marche metafisiche dell’ ”antico regime europeo”: l’Essere, l’Identità e l’Universalità. Noi pensiamo che queste categorie filosofiche, diventate poi ideologiche e ormai solo parole abusate e indegne a dirsi, perché menzognere, siano ancora le potentissime marche delle superstizioni della cosmovisione eurocentrica che tuttora governa retoricamente le guide politiche e grande parte della “gente” europea, anche se la sua estinzione è già in cammino. La cosmovisione transculturale e la sua missione pratica e formativa, che è l’azione che sta dentro alla parola transcultura-azione e nella nuova intenzione del fare insieme, servono a noi europei per decolonizzarci, per creolizzarci e per mondializzarci. Il primo passo da fare è proprio la liquefazione e il licenziamento del nucleo di ferro del pensiero eurocentrico della modernità: la pretesa che possiamo fare tutto e sempre da soli, in quanto portatori della luce della civiltà superiore. Quel “The White Man’s Burden” dell’Ode di Kipling, del 1898, al quale opponiamo il motto cannibale di Oswaldo de Andrade, dal suo “Manifesto Antropofago” del 1928: “Prima che i Portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità.” Dobbiamo imparare ad educarci e salvarci insieme con i migranti e con tutte le culture del mondo, che proprio noi abbiamo avviato all’estinzione con la “scoperta”. Tutto ciò non significa affatto la rinuncia all’identità europea, o meglio: la fuga dalla nostra responsabilità storica. Ma significa il nostro voler decidere di ri-educarci, per arrivare a vedere e a riconoscere che ci è offerta, nel XXI secolo una straordinaria chance per creare un Mundus Novus anche in Europa. Noi pensiamo che la Modernità non potrà finire mai prima che ciò accada o senza che ciò accada. Come quando l’Europa diventò Europa avendo a che fare con i Goti della Scandinavi, i magiari delle steppe e con i Mori arabi e africani.

La Transculturazione è una via per riconoscere e comprendere per bene (à propos, diceva Montaigne) i fenomeni migratori e sociali del nostro tempo, e per proporre e costruire nuovo statuti del benessere individuale e comunitario. Con le pratiche della “convivenza nella sana umanità” e della “coevoluzione creativa”, intendiamo fare ricerca e sperimentare una revisione della disposizione e della consistenza dei saperi, dei percorsi formativi della scuola e delle pratiche comunitarie, della creatività condivisa. Se non ora, quando? scriveva Primo Levi, uno dei testimoni delle vittime della folle disumanità europea.

Armando Gnisci
Manifiesto transcultural
16 mayo 2011, Roma
[traduzione di Manuela Derosas, Città del Messico]

La Transculturación tiene que experimentar y promover prácticas críticas de acción transcultural entre los saberes contemporáneos con la finalidad de producir una nueva cosmovisión comunitaria por medio de formas de acción creativa y de salud general: entre las personas humanas, entre géneros y generaciones, entre las culturas, entre las personas humanas y las no-humanas, entre los vivientes y el planeta habitado por nosotrostodosjuntos y el cosmos, de los que, ambos, somos partícipes. Nosotros creemos, y no somos los únicos, que Multiculturalismo e Interculturalidad son dos palabras-conceptos que hay que revisar en profundidad en Europa occidental y en la Unión Europea, donde habitamos: la primera está pasando por una evidente crisis política, la segunda es un barquito presa mediterránea de una crisis de sentido. Nosotros pensamos que la crisis política, recién anunciada clamorosamente por la premier alemana Angela Merkel, representa la última consecuencia de la persistente y confusa visión eurocéntrica de la política unitaria de los europeos unidos “bajo el círculo de estrellas”. Desde nuestro punto de vista representa también el resultado de la fallida descolonización de los europeos de sí mismos, del haber sido y seguir siendo: colonos y patrones. Una petición planteada en los años 50 del siglo XX por dos grandes intelectuales, uno francés y el otro francófono de la Martinica antillana: Jean Paul Sartre y Frantz Fanon.
Las palabras-conceptos, multiculturalismo e interculturalidad, han sido desgastadas por la fracasada, aunque cada vez más urgente, descolonización de nuestras mentes aún coloniales: primero, hacia las civilizaciones violadas por nosotros co-co [conquistadores-colonos] planetarios de la modernidad, y luego readaptada en Europa para “acoger”, en particular, a africanos y asiáticos, después de la colonización inacabada y fracasada de los pueblos devastados por nosotros, pero sobre todo como reacción a la reciente Gran Migración de los “condenados de la tierra” en los estrechos territorios ya superpoblados de la cola peninsular de Eurasia. Italia, por ejemplo, cuenta con 60 millones de habitantes. Para tener esperanza de ser felices, deberíamos llegar a ser la mitad, con el 20% de inmigrados, en coevolución. Deshaciéndonos de todo lo que recubre el Bel Paese: de la basura de las calles y los campos, del cemento y el eternit [mezcla de amianto y cemento], de la corrupción y la mentira de la vida política, de la desdicha de ser la nación europea unida más enferma de criminalidad, la única forma social que coevolucione con la sociedad civil volviéndola anómica, matándola.
Hoy los europeos han descubierto ser racistas en su propia casa. Esta suerte de “neo-racismo en la democracia” representa el síntoma más fuerte del fracaso de la política del multiculturalismo coactivo y de la interculturalidad abstracta que, en el mejor de los casos, podemos definir: voluntariosa y caritativa. Nosotros creemos que la crisis de aquellos modelos de adaptación social está poniendo al descubierto la remoción en las mentes europeas de las viejas pretensiones coloniales (en las antiguas colonias como en casa propia) de parte de las ex-potencias imperiales: la asimilación en Francia, la integración en Reino Unido, Alemania y, de manera muy confusa, en Italia. Es necesario reconocer que el meollo de la grande relación intercultural entre nosotros los europeos y las personas-multitudes, que llegan a nuestros países, es distorsionado e injusto. De hecho, los migrantes llegan no para conquistarnos y colonizarnos, sino para vivir con nosotros una vida más justa y saludable en una nueva comunidad transcultural que hay que construir juntos, en Europa. En cambio, seguimos removiendo esta “banal” visión coevolutiva. Porque puede ser peligrosa. Efectivamente, si continuásemos a pensarlo bien y en profundidad, deberíamos llegar a reconocer que precisamente y solamente los migrantes tienen la capacidad de desear esta “utopía justa y concreta”. Más bien, que son ellos hoy en día portadores de sana humanidad y de futuro. Este descubrimiento, en lugar que al pánico identitario y a la rabia racista, debería llevar a los europeos a construir una visión más abierta de la convivencia entre las gentes. Como lo hicieron unos pequeños municipios del Sur de Italia, aquella Italia meridional sin meridiano, aquella tierra sin “a-hora” porque nunca ha sido su hora. Aquella tierra devastada por la pobreza, la emigración y la criminalidad. Los calabreses han pedido a los migrantes, que llegaban naufragando de los barcos a las orillas del Mar Jonio, pidiéndoles que se quedaran con ellos en sus pequeños pueblos de Calabria: Badolato, Riace, Caulonia y otros, para darse la esperanza recíproca de poder re-vivir juntos una vida diferente. Para tener un “a-hora” mejor. El director alemán Wim Wenders, en 2010, ha rodado “Il Volo” [El vuelo], un documental narrativo sobre este fenómeno no tanto de “mera” acogida cuanto de propuesta a los extranjeros de volver a darse vida juntos. Sin embargo, los altos europeos que gobiernan las vidas, las nuestras y las de los otros y de las futuras generaciones, son capaces sólo de defender los privilegios de la civilización moderna creada con la violencia y la usurpación: negocios, no importa de qué manera, y mando, siempre. Los aparatos gubernamentales europeos no son capaces de asegurar a los migrantes ni quisiera un trato de civilización “burguesa e iluminada”; ni siquiera “una inmunda política” [como dice la hija de Barney a Barney] apta a prever y remediar dificultades y conflictos, leyes de policía y racismo, caridad y solidaridad. Lo que significa que aún no somos capaces de pensar en el futuro y preparar una sociedad transcultural, junto con quien lo desea, aunque sin saberlo.
La Transculturación -como concepto antropológico y cultural y como palabra común aunque de origen culto: transculturación y transculturação- ha nacido y prospera en la parte central, en la antillana y en la meridional del Mundus Novus de las Américas. Como naciones no pobres, sino empobrecidas y devastadas, y no domadas, por el colonialismo europeo y sucesivamente por el norteamericano. La Transculturación permite reconocer la evidencia de que la historia propia de cada cultura se ha hibridado con otras y ha generado nuevas formas “criollas” e imprevisibles. Así como nos enseñaron Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, el Subcomandante Marcos, Leonardo Boff y muchos otros. El pensamiento y la praxis transculturales indican que esto se da en la mutualidad del intercambio y en la transformación imprevisible, más allá de la violencia y el mando. Siguiendo el pensamiento latinoamericano, queremos proponernos a nosotros mismos como aquellos que contestan a esto desde la parte europea, en contrapunto y en relación. Nosotros hemos individuado y articulado la idea y el proyecto de la Transculturación en tres movimientos, no tanto sucesivos, sino más bien, contemporáneos y coevolutivos: Descolonización, Criollización y Mundialización, todas mutuas. Para que podamos salvarnos el uno al otro, como escribió el filósofo epicúreo Filodemo de Gadara. Sólo así la nueva poética del Interser y la Relación puede sustituir pacíficamente, aunque implacablemente, los rasgos metafísicos del “antiguo régimen europeo”: el Ser, la Identidad y la Universalidad. Nosotros pensamos que estas categorías filosóficas, que han devenido sucesivamente ideológicas y que son hoy en día sólo palabras abusadas e indignas de ser mencionadas, en tanto que mentirosas, son aún las marcas poderosísimas de las supersticiones de la cosmovisión eurocéntrica que todavía gobierna retóricamente a las guías políticas y gran parte de la “gente” europea, aun si su extinción ya está encaminada. La cosmovisión transcultural y su misión práctica y formativa, que es la acción incluida en la palabra transcultur-acción y en la nueva intención del hacer juntos, nos sirven, a nosotros los europeos, a descolonizarnos, a criollizarnos y a mundializarnos. El primer paso a dar es precisamente la licuefacción y la expulsión del núcleo duro del pensamiento eurocéntrico de la modernidad: la pretensión que podamos hacerlo todo y siempre por nuestra cuenta, en tanto que portadores de la luz de la civilización superior. Aquel “The White Man’s Burden” de la Oda de Kipling de 1898 al cual oponemos el mote caníbal de Oswaldo de Andrade extraído de su “Manifiesto Antropófago” de 1928: “Antes de que los Portugueses descubrieran Brasil, Brasil ya había descubierto la felicidad.” Debemos aprender a educarnos y salvarnos juntos con los migrantes y con todas las culturas del mundo, que justo nosotros hemos encaminado hacia la extinción con el “descubrimiento”. Todo esto no significa en lo más mínimo renunciar a la identidad europea o, mejor dicho, huir de nuestra responsabilidad histórica. Más bien, significa nuestra voluntad de decidir de re-educarnos, para llegar a ver y reconocer que se nos está ofreciendo, en el siglo XXI, una extraordinaria ocasión para crear un Mundus Novus también en Europa. Nosotros pensamos que la Modernidad no podrá nunca terminar antes de que esto pase o sin que esto pase. Como cuando Europa devino Europa en relación con los Godos de Escandinavia, los magiares de las estepas y con los Moros árabes y africanos.
La Transculturación es un camino para reconocer y comprender bien (à propos, decía Montaigne) los fenómenos migratorios y sociales de nuestro tiempo, y para proponer y construir nuevos estatutidual y comunitario. Con las prácticas de la “convivencia en la sana humanidad” y de la “coevolución creativa”, tenemos la intención de investigar y experimentar una revisión de la organización y la consistencia de los saberes, de los caminos formativos de la escuela y de las prácticas comunitarias, de la creatividad compartida. Si ahora no, ¿cuándo? escribía Primo Levi, uno de los testigos de las víctimas de la demente inhumanidad europea.
[traduzione di Manuela Derosas, Città del Messico]





Armando Gnisci1
Manifesto transcultural
16 maio 2011, Roma
[Versión en galego de Miro Villar, Santiago de Compostela]
A Transculturación ten que experimentar e promover prácticas críticas de acción transcultural entre os saberes contemporáneos coa finalidade de producir unha nova cosmovisión comunitaria por medio de formas de acción creativa e de saúde xeral: entre as persoas humanas, entre xéneros e xeracións, entre as culturas, entre as persoas humanas e as non-humanas, entre os viventes e o planeta habitado por “nós todos xuntos” e o cosmos, dos que, ambos, somos partícipes. Nós cremos, e non somos os únicos, que Multiculturalismo e Interculturalidade son dúas palabras-conceptos que hai que revisar en profundidade en Europa occidental e na Unión Europea, onde habitamos: a primeira está pasando por unha evidente crise política, a segunda é un peqiueno barco á valga mediterránea dunha crise de sentido. Nós pensamos que a crise política, recén anunciada de maneira clamorosa pola premier alemá Angela Merkel, representa a última consecuencia da persistente e confusa visión eurocéntrica da política unitaria dos europeos unidos “baixo o círculo de estrelas”. Desde o noso punto de vista representa tambén o resultado da errada descolonización dos europeos de si propios, de ter sido e continuar a ser: colonos e patróns. Unha petición plantexada nos anos 50 do século XX por dous grandes intelectuais, un francés e o outro francófono da Martinica antillá: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.
As palabras-conceptos, multiculturalismo e interculturalidade, foron desgastadas pola fracasada, aínda que cada vez máis urxente, descolonización das nosas mentes aínda coloniais: primeiro, cara ás civilizacións violadas por nós co-co [conquistadores-colonos] planetarios da modernidade, e logo readaptada en Europa para “acoller”, en particular, a africanos e asiáticos, despois da colonización inacabada e fracasada dos pobos devastados por nós, mais sobre todo como reacción á recente Gran Migración dos “condenados da terra” nos estreitos territorios xa superpoboados da cola peninsular de Eurasia. Italia, por exemplo, conta con 60 millóns de habitantes. Para ter esperanza de sermos felices, deberíamos chegar a ser a metade, co 20% de inmigrados, en coevolución. Desfacéndonos de todo o que recobre o Bel Paese: do lixo das rúas e os campos, do cemento e o eternit [mestura de amianto e cemento], da corrupción e a mentira da vida política, da desgraza de ser a nación europea unida máis enferma de criminalidad, a única forma social que coevolucione coa sociedade civil volvéndoa anómica, matándoa.
Hoxe os europeos descubriron ser racistas na súa propia casa. Esta sorte de “neo-racismo na democracia” representa o síntoma máis forte do fracaso da política do multiculturalismo coactivo e da interculturalidade abstracta que, no mellor dos casos, podemos definir: voluntariosa e caritativa. Nós cremos que a crise daqueles modelos de adaptación social está poñendo ao descuberto a remoción nas mentes europeas das vellas pretensións coloniais (nas antigas colonias como en casa propia) de parte das ex-potencias imperiais: a asimilación en Francia, a integración no Reino Unido, Alemaña e, de maneira moi confusa, en Italia. Cómpre recoñecermos que o miolo da grande relación intercultural entre nós os europeos e as persoas-multitudes, que chegan aos nosos países, é distorsionado e inxusto. De feito, os migrantes chegan non para nos conquistar e colonizarnos, senón para vivir con nós unha vida máis xusta e saudable nunha nova comunidade transcultural que hai que construír xuntos, en Europa. En cambio, seguimos a remover esta “banal” visión coevolutiva. Porque pode ser perigosa. En efecto, de continuarmos a pensalo ben e en profundidade, deberíamos chegar a recoñecer que precisamente e soamente os migrantes teñen a capacidade de desexar esta “utopía xusta e concreta”. Máis ben, que son eles hoxe en día portadores de sana humanidade e de futuro. Este descubrimento, en lugar que ao pánico identitario e á rabia racista, debería levar aos europeos a construír unha visión máis aberta da convivencia entre as persoas. Como o fixeron uns pequenos concellos do Sur de Italia, aquela Italia meridional sen meridiano, aquela terra sen“agora” porque nunca foi a súa hora. Aquela terra devastada pola pobreza, a emigración e a criminalidada. Os calabreses pediron aos migrantes, que chegaban naufragando dos barcos ás beiras do Mar Xonio, que se quedasen con eles nos seus pequenos lugares de Calabria: Badolato, Riace, Caulonia e outros, para darénse a esperanza recíproca de poderen re-vivir xuntos unha vida diferente. Para ter un “agora” mellor. O director alemán Wim Wenders, en 2010, rodou “Il Volo” [O voo], un documental narrativo sobre este fenómeno non tanto de mera "acollida" canto de proposta aos estranxeiros de volver a darse vida xuntos. Porén, os altos europeos que gobernan as vidas, as nosas e as dos outros e das futuras xeracións, só son capaces de defender os privilexios da civilización moderna creada coa violencia e a usurpación: negocios, non importa de que maneira, e mando, sempre. Os aparellos gobernamentais europeos non son capaces de asegurar aos migrantes nin sequera un trato de civilización “burguesa e iluminada”; nin sequera “unha inmunda política” [como di a filla de Barney a Barney] apta para prever e remediar dificultades e conflitos, leis de policía e racismo, caridade e solidariedade. O que significa que aínda non somos capaces de pensar no futuro e preparar unha sociedade transcultural, xunto con quen o desexa, aínda que sen o saber.
A Transculturación -como concepto antropolóxico e cultural e como palabra común aínda que de orixe culta: transculturación e transculturação- naceu e prospera na parte central, na antillá e na meridional do Mundus Novus das Américas. Como nacións non pobres, senón empobrecidas e devastadas, e non domadas, polo colonialismo europeo e sucesivamente polo norteamericano. A Transculturación permite recoñecer a evidencia de que a historia propia de cada cultura foise hibridando con outras e xerou novas formas “crioulas” e imprevisibles. Así como nos ensinaron Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, o Subcomandante Marcos, Leonardo Boff e moitos outros. O pensamiento e a praxe transculturais indican que isto se dá na mutualidade do intercambio e na transformación imprevisible, alén da violencia e o mando. Seguindo o pensamento latinoamericano, queremos propoñernos a nós propios como aqueles que contestan a isto desde a parte europea, en contrapunto e en relación. Nós individualizamos e articulanos a idea e o proxecto da Transculturación en tres movementos, non tanto sucesivos, senón máis bien, contemporáneos e coevolutivos: Descolonización, Creoulización e Mundialización, todas mutuas. Para que poidamos salvarnos o un ao outro, como escribiu o filósofo epicúreo Filodemo de Gadara. Só así a nova poética do Interser e a Relación pode substituír de maneira pacífica, aínda que implacable, os trazos metafísicos do “antigo rexime europeo”: o Ser, a Identidade e a Universalidade. Nós pensamos que estas categorías filosóficas, que deviron sucesivamente ideolóxicas e que son hoxe en día só palabras abusadas e indignas de ser mencionadas, en tanto que mentirosas, son aínda as marcas poderosísimas das supersticións da cosmovisión eurocéntrica que aínda goberna retóricamente ás guías políticas e a gran parte da “xente” europea, aínda se a súa extinción xa estivese encarreirada. A cosmovisión transcultural e a súa misión práctica e formativa, que é a acción incluída na palabra transcultur-acción e na nova intención de facer funtos, sérvennos, a nós os europeos, a descolonizármonos, a crioulizarmonos e a mundializármonos. O primeiro paso a dar é precisamente a licuefacción e a expulsión do núcleo duro do pensamento eurocéntrico da modernidade: a pretensión que poidamos facelo todo e sempre pola nosa conta, en tanto que portadores da luz da civilización superior. Aquel “The White Man’s Burden” da Oda de Kipling de 1898 á que opoñemos o alcume caníbal de Oswaldo de Andrade extraído do seu “Manifesto Antropófago” de 1928: “Antes dos portugueses descobrirem o Brasil, o Brasil tinha descoberto a felicidade”. Debemos aprender a educarnos e a salvarnos juntos cos migrantes e con todas as culturas do mundo, que xusto nós encamiñamos cara á extinción co “descubrimento”. Todo isto non significa no máis mínimo renunciarmos á identidade europea ou, mellor dito, fuxir da nosa responsabilidade histórica. Máis ben, significa a nosa vontade de decidirmos, de re-educármonos, para chegarmos a ver e a recoñecer que se nos está ofrecendo, no século XXI, unha extraordinaria ocasión para crearmos un Mundus Novus tamén en Europa. Nós pensamos que a Modernidad non poderá nunca rematar antes de que isto aconteza ou sen que isto aconteza. Como cando Europa deveu Europa en relación cos godos de Escandinavia, os maxiares das estepas e cos mouros árabes e africanos.
A Transculturación é un camiño para recoñecermos e comprendermos ben (à propos, dicía Montaigne) os fenómenos migratorios e sociais do noso tempo, e para propormos e construírmos novos estatutos de benestar individual e comunitario. Coas prácticas da “convivencia na sa humanidade” e da “coevolución creativa”, temos a intención de investigar e experimentar unha revisión da organización e a consistencia dos saberes, dos camiños formativos da escola e das prácticas comunitarias, da creatividade compartida. Se agora non, ¿cando? escribía Primo Levi, unha das testemuñas das vítimas da demente inhumanidade europea.





Armando Gnisci
Manifeste transculturel
16 mai 2011, Rome

[Traduzione di Camille Ancel, Parigi eArles]

La Transculturation doit expérimenter et promouvoir des pratiques d’action transculturelle dans le but de produire une nouvelle cosmovision communautaire à travers des formes d’action qui soient créatives et participent au bien commun. Pratiques transculturelles entre les êtres humains, entre genres et générations, entre les cultures et les êtres vivants. Actions transculturelles au sein des deux espaces que nous partageons ; la planète habitée par « noustousensemble » et le cosmos.

Nous croyons - et nous ne sommes pas les seuls - que le Multiculturalisme et l’Interculturalité sont deux mots-concepts qui doivent être profondément révisés dans l’Europe occidentale et dans l’Union européenne, où nous habitons. Le premier, le Multiculturalisme traverse une crise politique évidente, le second, l’Interculturalité est une embarcation fragile de la Méditerranée, à la merci d’une crise de sens. Nous pensons que la crise politique clamée récemment par le chancelier allemand Angela Merkel, représente l’ultime conséquence de la vision eurocentrique persistante de la politique unitaire des européens rassemblés dans le cercle étoilé. Mais à nos yeux, la crise est également symptomatique de la décolonisation bâclée des européens, qui demeurent des colons et des patrons. Décolonisation que dans les années 1950, deux grands intellectuels, l’un français et l’autre francophone de la Martinique antillaise, Jean-Paul Sartre et Frantz Fanon, ont appelé de leurs vœux.

Les mots-concepts, Multiculturalisme et Interculturalité, ont été abîmés par la décolonisation hâtée de nos esprits encore colonialistes. Utilisés d’abord à l’égard des civilisations violentées par nous, les co-co [conquistadores-colons] planétaires de la modernité, ces mots ont été ensuite réadaptés en Europe pour « accueillir » africains et asiatiques. Ils ont surtout été employés après la décolonisation inachevée des peuples dévastés par nos soins, et en réaction à la récente Grande Migration des « Damnés de la terre », dans les territoires étroits et bondés de la queue péninsulaire eurasienne. L’Italie par exemple compte 60 millions d’habitants. Pour espérer être « heureux », nous devrions être moitié moins, dont 20% d’immigrés, en coévolution. Nous pourrions nettoyer le Beau Pays de tout ce qui le recouvre: ordures des rues et des champs, ciment et déchets industriels, corruption et mensonge de la vie politique. Le guérir aussi du malheur d’être la nation d’Union Européenne la plus touchée par la criminalité, l’unique forme sociale qui accompagne l’évolution de la société civile, l’anémiant et la tuant.

Aujourd’hui, les européens ont découvert qu’ils étaient racistes dans leur propre maison. Cette sorte de « néo-racisme dans la démocratie » est le symptôme de l’échec de la politique du Multiculturalisme forcé, et de l’Interculturalité abstraite que, dans le meilleur des cas, nous pouvons définir comme : de bonne volonté et charitable. Nous croyons que la crise de ces modèles de transformation sociale révèle le refoulement des vieilles prétentions coloniales des ex-puissances impériales dans les esprits européens. Prétentions que sont l’assimilation en France, et l’intégration aux Royaume-Uni, en Allemagne et de façon plus confuse, en Italie. Il est nécessaire de reconnaître que le lien de la grande relation interculturelle entre nous européens, et les multitudes qui viennent chez nous, est déformé et injuste. Les migrants en effet, n’arrivent pas pour nous conquérir et nous coloniser, mais pour vivre avec nous une vie plus juste et saine, dans une nouvelle communauté transculturelle à construire ensemble, en Europe.
Mais nous continuons au contraire à refouler cette “banale” vision coevolutive, parce qu’elle pourrait devenir menaçante. Si nous poussons le raisonnement jusqu’au bout en effet, nous devrions arriver à la conclusion que seul les migrants ont la capacité de désirer cette « utopie juste et concrète ». Que ce sont même eux aujourd’hui les porteurs d’une saine humanité et d’un avenir. Mais cette découverte plutôt que d’engendrer panique identitaire et colère raciste, devrait amener les européens à penser une vision plus large de la cohabitation entre les individus. A l’image de quelques petites communes du sud de l’Italie, ce Sud [Meridione] sans méridien, cette terre sans heure, parce qu’elle n’a jamais connue son heure. Une terre usée par la pauvreté, l’émigration et la criminalité. Les calabrais ont prié les migrants, arrivés comme des naufragés sur les bords de la mer Ionienne, de rester avec eux dans les petits pays de la Calabre : Badolato, Riace, Caulonia et autres, pour se donner le réciproque espoir de pouvoir revivre ensemble une vie différente. Pour connaître des jours meilleurs.
Le metteur en scène allemand Wim Wenders, a tourné « le Vol » en 2010, un documentaire-fiction sur ce phénomène qui n’est pas de l’ordre du pur « accueil », mais qui consiste en une proposition faite aux étrangers de se redonner vie ensemble.
Mais les européens hauts placés, ceux qui gouvernent nos vies, celles des autres et celles à venir, sont uniquement capables de défendre les privilèges de la civilisation moderne créée par la violence et l’usurpation : civilisation des affaires et de l’éternel commandement. Les machines gouvernementales européennes ne sont même pas capables d’assurer aux migrants un traitement digne d’une civilisation « bourgeoise et éclairée ». Ni même de leur garantir une « foutue politique » [comme dit la fille de Barney à Barney] tout juste propre à anticiper et à concilier difficultés et conflits, lois de police et racisme, charité et solidarité. Par conséquent, nous ne parvenons ni à penser un avenir commun, ni à préparer une société transculturelle avec ceux qui la désirent, de façon plus ou moins avouée.

La Transculturation est née et prospère (comme concept antropologique culturel et comme nom commun même s’il est d’origine érudite : transculturación e transculturação) dans la partie centrale, antillaise et méridionale du Mundus Novus des Amériques. Parties du monde dont les nations ne sont pas pauvres, mais appauvries et dévastées, et surtout indomptées par le colonialisme européen et nord-américain. La Transculturation aide à reconnaître l’histoire propre à chaque culture, à se métisser avec d’autres cultures, et à générer de nouvelles formes « créoles » et imprévisibles. C’est ce que nous ont enseigné Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Èdouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo Boff et tant d’autres.
La pensée et la pratique transculturelles indiquent que ceci advient dans la dimension de l’échange, et dans la transformation imprévisible, comme disait Édouard Glissant, au-delà de la violence et du commandement. Nous tâchons de répondre à la pensée latino-américaine, en
nous positionnant en tant qu’européens désireux d’agir avec les porteurs sains de l’avenir du monde.
Nous avons identifié et articulé l’idée et le projet de Transculturation autour de trois mouvements, non pas successifs mais contemporains et coévolutifs : Décolonisation, Créolisation, et Mondialisation, toutes ensemble. Parce que nous ne pouvons nous sauver que l’un l’autre, comme écrivait le philosophe épicurien Philodème de Gadara. Il n’y a qu’ainsi que la nouvelle poétique de l’Inter-être et de la Relation pourra remplacer pacifiquement, mais définitivement, les frontières métaphysiques de l’ « ancien régime européen » que sont : l’Etre, l’Identité et l’Universalité. Nous pensons que ces catégories philosophiques, devenues ensuite des catégories idéologiques, et désormais des mots abusifs, caducs et mensongers, représentent encore les frontières toutes puissantes des superstitions de la cosmovision eurocentrique. Celle-ci continue de gouverner les décisions politiques et une grande partie de la « population » européenne, même si son extinction est déjà en marche.
La Transculturation est attachée aux idées d’action et de faire ensemble. L’action et le faire ensemble induits par la cosmovision transculturelle, nous servent à nous européens, pour nous décoloniser, nous créoliser et nous mondialiser. Le premier pas à accomplir et précisément de liquéfier le noyau rigide de la pensée eurocentrique de la modernité. Nous débarrasser de la prétention que nous puissions faire tout, tout seul, en tant que détenteurs des lumières de la civilisation supérieure. Au « Fardeau de l’Homme Blanc » de l’ode de Kipling en 1898, nous opposons la devise cannibale d’Oswaldo de Andrade, dans son « Manifeste Anthropophage » de 1928 : « Avant que les Portugais ne découvrent le Brésil, le Brésil avait découvert le bonheur ». Nous devons apprendre à nous éduquer et à nous sauver ensemble, avec les migrants et avec toutes les cultures du monde. Tout ceci ne signifie absolument pas le renoncement à l’identité européenne, ou la fuite de notre responsabilité historique. Mais cela témoigne de notre décision de nous ré-éduquer, pour parvenir à reconnaître qu’il nous est offert au XXIe siècle, une chance extraordinaire de créer un Mundus Novus en Europe aussi.
Nous pensons que la Modernité ne pourra jamais s’achever avant que cela advienne, ou sans que cela advienne. De même que l’Europe devint Europe en ayant à faire aux Goths de Scandinavie, aux magyars des steppes et aux maures arabes et africains.
La Transculturation est une voie pour reconnaître et comprendre avec justesse (à propos, disait Montaigne) les phénomènes migratoires et sociaux de notre temps, et pour proposer et construire de nouveaux statuts du bien être individuel et communautaire. Par la « cohabitation dans la saine humanité » et la « coévolution créative », nous entendons faire des recherches, et expérimenter une révision des savoirs, des parcours formateurs de l’école et des pratiques communautaires, de la créativité partagée.
Maintenant ou jamais ? écrivait Primo Levi, témoin des victimes de la folle inhumanité européenne.




Armando Gnisci
Manifesto transculturale
16 maggio 2011, Roma

[Trad.in portoghese di Patricia Peterle, Florianópolis, Univ. Federal de Santa Catarina, Brasil]

A Transculturação deve experimentar e promover práticas críticas de ação transcultural entre os saberes contemporâneos com o escopo de produzir uma nova cosmovisão comunitária através de formas de ação criativa e de saúde geral: entre as pessoas humanas, entre gêneros e entre gerações, entre as culturas, entre as pessoas humanas e as não-humanas, entre os viventes e o planeta habitado por nóstodosjuntos e o cosmo, dos quais, ambos, somos partícipes. Nós acreditamos, mas não sozinhos, que o Multiculturalismo e a Interculturalidade sejam duas palavras-conceito que devem ser revistas profundamente na Europa ocidental e na União Européia, onde moramos: o Multiculturalismo atravessa uma evidente crise política, a Interculturalidade, por sua vez, parece um barquinho nas mãos mediterrâneas de uma crise de sentido. Nós pensamos que a crise política anunciada recente e clamorosamente pela premier germânica Angela Merkel, representa a última consequência da persistente e confusa visão eurocêntrica da política unitária dos europeus unidos no círculo de estrelas. Mas, também, do nosso ponto de vista, o êxito da ausente descolonização dos europeus de si mesmos, de terem sido e serem ainda: colonos e padrões. Uma exigência feita nos anos 50 do século XX aos europeus por dois grandes intelectuais: um francês e o outro francôfono, da Martinica antilhana: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.

As palavras-conceito, multiculturalismo e interculturalidade, foram desgastadas pela ausente, mas sempre mais urgente, descolonização das nossas mentes ainda coloniais: num primeiro momento, em relação às civilizações violentadas por nós co-co [conquistadores-colonos] planetários da modernidade, e depois readaptada na Europa para “acolher” africanos e asiáticos, sobretudo depois da descolonização incompleta e falida dos povos por nós devastados, mas sobretudo como reação à recente Grande Migração dos “danados da terra” nos estreitos territórios já superpovoados do rabo peninsular da Eurasia. A Itália, por exemplo, conta com 60 milhões de habitantes. Para esperar de ser “felizes”, deveríamos ser a metade, com o 20% de imigrantes, em coevolução. Limpando tudo aquilo que recobre o Bel paese: da sujeira das ruas e dos campos, do cemento e do eternit, da corrupção e da mentira da vida política, da desventura de ser a nação européia unida mais doente de criminalidade, a única forma social que co-evolua com a sociedade civil animalizando-a, matando-a.

Os europeus hoje descobriram ser racistas na própria casa. Essa espécie de “neo-racismo na democracia” é o sintoma mais forte da falência da política do multiculturalismo forçado e da interculturalidade abstrata que, no melhor dos casos, podemos definir: desejosa e caridosa. Nós acreditamos que a crise daqueles modelos de adaptação social esteja trazendo à tona a remoção nas mentes européias das velhas pretensões coloniais (tanto dentro das antigas colônias quanto dentro de casa) das ex-potências imperiais: a assimilação, a França, e a integração: o Reino Unido, a Alemanha, e, muito confusamente, a Itália. É necessário reconhecer que o nó da grande relação intercultural entre nós europeus e as pessoas-multidão que vêem até nós, é distorcido e injusto. Os migrantes, com efeito, chegam não para nos conquistar e nos colonizar, mas para viver conosco uma vida mais justa e saudável numa nova comunidade transcultural a ser construída junto, na Europa. Ao contrário, continuamos a remover esta visão “banal” co-evolutiva. Porque pode ficar ameaçadora. Se continuássemos a pensá-la direito até o fundo, de fato, deveríamos chegar a conscientização que mesmo e só os migrantes têm a capacidade de desejar esta “utopia justa e concreta”. Aliás, que são eles hoje portadores de sã humanidade e de futuro. Esta descoberta, ao contrário do pânico identitário e da raiva racista, deveria levar os europeus a construir uma visão mais larga da convivência entre as pessoas. Como fizeram alguns pequenos municípios do Sul da Itália, aquela Itália meridional sem meridiano, aquela terra sem vez, porque nunca foi a sua vez. Uma terra devastada pela emigração e pela criminalidade. Os calabreses rogaram aos migrantes que chegavam como náufragos nas embarcações às margens do Mar Ionio, de ficar junto a eles nas pequenas cidades da Calábria: Badolato, Riace, Caulonia e outros, para se darem mutuamente a esperança de poderem re-viver juntos uma vida diferente. Para terem um agora melhor. O diretor alemão Wim Wenders, em 2010, dirigiu “Il Volo” (“O vôo”), um documentário-narrativo sobre esse fenômeno não tanto de mera acolhida quanto de proposta para os estrangeiros de dar-se uma vida juntos. Mas os altos europeus que governam as vidas, de nós e dos outros e dos futuros, são capazes só de defender os privilégios da civilização moderna criada com a violência e a usurpação: negócios, em todos os modos, e comando, sempre. As máquinas governativas européias não são capazes de assegurar aos migrantes nem um tratamento de civilização “burguesa e iluminada”: nem uma “porca política” [como diz a filha de Barney a Barney] adequada para prever e para remediar dificuldades e conflitos, leis de polícia e racismo, caridade e solidariedade. O que significa que não somos capazes de pensar algum futuro e muito menos de preparar uma sociedade transcultural, junto com quem a deseja, mesmo sem sabê-lo.
A Transculturação nasceu e prospera – como conceito antropológico cultural e como palavra comum, mesmo tendo uma origem culta: transculturación e transculturação – na parte central, naquela antilhana e naquela meridional do Mundus Novus das Américas. Como nações não pobres, mas empobrecidas e devastadas, e não domadas, pelo colonialismo europeu e depois por aquele norte americano. A Transculturação ajuda a reconhecer como evidente a história particular de cada cultura para hibridizar com outras culturas e gerar novas formas “crioulas” e imprevisíveis. Assim como nos ensinaram Fernando Ortiz, Oswald de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo Boff e tantos outros. O pensamento e a praxe transculturais indicam que isto acontece na mutualidade da troca e na transformação imprevisível, além da violência e do comando. Seguindo o pensamento latino-americano, queremos nos propor como aqueles que respondem pela parte européia, em contraponto e em relação. Nós identificamos e articulamos o projeto da Transculturação em três movimentos, não tanto sucessivos, mas contemporâneos e coevolutivos: Descolonização, Crioulização e Mundialização, todas mútuas. Porque podemos nos salvar só um o outro, como escreveu o filósofo epicureu Filodemo di Gadara. Só assim a nova poética do Interesse e da Relação pode substituir pacificamente, mesmo implacavelmente, as marcas metafísicas do “antigo regime europeu”: o Ser, a Identidade, a Universalidade. Acreditamos que estas categorias filosóficas, depois ideológicas e agora palavras abusivas e indignas de serem ditas, porque mentirosas, sejam ainda potentes marcas da superstição da cosmovisão eurocêntrica que até hoje governa retoricamente os guias políticos e grande parte da “gente” européia, mesmo se a extinção dela já está a caminho. A cosmovisão transcultural e a sua missão prática e formativa, que é a ação que está dentro da palavra transcultura-ação e na nova intenção do fazer junto, servem para nós europeus para nos descolonizar, para nos crioulizar e para nos mundializar. O primeiro passo a ser feito é a própria liquefação e expulsão do núcleo de ferro do pensamento eurocêntrico da modernidade: a pretensão que podemos fazer tudo e sempre sozinhos, como portadores da luz e da civilização superior. Aquele “The White Man’s Burden” da Ode de Kipling, de 1898, à qual opomos o dizer canibal de Oswald de Andrade, do seu “Manifesto Antropófago” de 1928: “Antes de os portugueses terem descoberto o Brasil, o Brasil tinha descoberto a felicidade.” Devemos aprender a nos educar e a nos salvar juntos com os migrantes e com todas as culturas do mundo, que nós mesmos demos início a extinção com a “descoberta”. Tudo isso não significa, de nenhum modo, a renúncia à identidade européia, ou melhor: a fuga da nossa responsabilidade histórica. Mas significa o nosso querer decidir a nos re-educar, para chegar a ver e a reconhecer que nos foi oferecida, no século XXI uma extraordinária chance de criar um Mundus Novus também na Europa. Pensamos que a Modernidade nunca poderá acabar antes que isso aconteça ou sem que isso aconteça. Como quando a Europa se transformou em Europa tendo o que fazer com os Godos da Escandinávia, os magiares das estepes e com os Mouros árabes e africanos.
A Transculturação é uma via para reconhecer e compreender bem (à propos, dizia Montaigne) os fenômenos migratórios e sociais do nosso tempo, e para propor e construir novo estatutos do bem-estar individual e comunitário. Com as práticas da “convivência na sã humanidade” e da “coevolução criativa”, entendemos fazer pesquisa e experimentar uma revisão da disposição e da consistência dos saberes, dos percursos formativos da escola e das práticas comunitárias, da criatividade compartilhada. Se não agora, quando? escrevia Primo Levi, um dos testemunhos das vítimas da louca desumanidade européia.












Armando Gnisci

Transcultural Manifesto
16 May 2011, Rome



(Translated by Sharmistha Lahiri, India)


Transculturaction requires experimenting and promoting critical practices of transcultural action between spheres of contemporary knowledge with an aim to produce a new cosmovision of community. It is to be obtained through forms of creative action and healthy interaction among persons of the human race, between genders and generations, between cultures; between humans and non-humans, between the living and the planet inhabited by all of us collectively and the cosmos, we having a role in both. We believe, and not we alone, that Multiculturalism and Interculturality are two word-concepts that require a thorough revision in Western Europe and European Union where we live. While Multiculturalism is going through an evident political crisis, Interculturality, on its part, appear to be a fragile boat caught in the throes of a Mediterranean crisis of significance. We hold that the recent clamorous announcement of a political crisis by the German Prime Minster Angela Merkel represents the latest consequences of the persistent and muddled Eurocentric vision of the unitary politics of Europeans united in the galaxy of stars. As we see it, it is also the result of the missing de-colonization of the European people from themselves, from having been and continuing to be, both colonies and masters. This was a request made to the Europeans by two of the great intellectuals of the twentieth century: one was French and the other from the Martinique Islands: Jean-Paul Sartre and Frantz Fanon.

Multiculturalism and ‘interculturality’ are word-concepts that have been borne down by the missed out but increasingly urgent de-colonization of our minds, still colonial: first, in relation to the civilizations violated by us co-co [conquerors-colonized], the planetariums of modernity, and then re-adapted in Europe to “welcome” the Africans and the Asians. This happened predominantly after the incomplete and failed process of de-colonization of the people ravaged by us, but above all, in response to the recent Big Migration of the “wretched of the earth” into the narrow territories of the already overcrowded peninsular tail of Eurasia. There are 60 million inhabitants, for example, in Italy. To aspire to happiness, we need to be half of that, including the 20% immigrants co-evolving with us. It would mean cleaning up Bel paese (the Land Beautiful, Italy) from the layers covering it, from garbage in the roads and fields, from cement and eternit, from corruption and lies in the political life, from the misfortune of being the country in European Union that suffers most from criminality, the only social form that evolved along with the civil society, rendering it nameless and nullified.

Today, Europeans have discovered themselves to be racists in their own homes. This kind of ‘neo-racism’ in democracy is the strongest sign of the failure of the politics of forced multiculturalism and the abstract interculturality which can be defined at best as willing and charitable. We believe that the crisis in these models of social adjustment is bringing into the open the old colonial pretensions deeply recessed in the European mind, whether in the old colonies or at home, of the ex-imperial powers: assimilation in France and integration in U.K, Germany, and with much confusion, Italy. It is necessary to recognize that the great intercultural relation between us Europeans and the persons-multitude, who are coming to Europe, is distorted and unjust at its core. The migrants, in fact, arrive here not to conquer or colonize but to live with us for the possibility of a more just and salubrious life in a new transcultural community, to build together in Europe. We, instead, continue to dismiss this “banal” vision of co-evolution, for it could be potentially threatening. If we continued to think, nonetheless, reflecting honestly on the question in its depth, we would in fact realize that only the migrants are truly capable of desiring a “just and concrete utopia”. In fact, they are the bearers of a sound humanity, for today and for future. This discovery, instead of creating an identity-panic and racist rage, should lead the Europeans to construct a wider vision of life to be lived on the basis of sharing with other people. As it has been attempted in some of the small communes of southern Italy, that Meridion without Meridian, that land not marked by time, for it never had its time. A region devastated by poverty, emigration and crime. The people of Calabria requested the immigrants who like the shipwrecked arrived in boats at the shores of the Ionian Sea, to remain with them in the little towns of Calabria: Badolato, Riace, Caulonia and others, to give hope to each other that it might be possible to re-live life in a different way together, living for a better day. In 2010, the German director Wim Wenders shot the documentary-narrative film titled ‘Il volo’ (The Flight) on this phenomenon which was not so much of a mere ‘welcome’ as an invitation to the foreigners to work together to restitute life to each other. But the other Europeans who rule over lives, of ours, others, and those of the future, are able only to safeguard the privileges of modern civilization created by violence and usurpation: business, in every way possible, and command, always. The European government machineries are not capable of securing for the immigrants even a modicum of treatment which is worthy of the “enlightened middle-class” culture. Not even a “dirty politics” [as Barney’s daughter tells Barney] appropriate for the task that involves foreseeing and resolving the difficulties and conflicts, police laws and racism, charity and solidarity. It means that we are not able to think about any future and even less to prepare a transcultural society, to be lived along with those who, even when not knowing, desire it.

Transculturaction originates and thrives – as an anthropological concept and a common word, although of a refined origin: transculturacion and transculturação – in the central part of the Americas, that is, the Antilles and the southern part of the mundus novus (New World). As nations, they are not poor but have been impoverished and ruined, and not subdued, by European and later North American colonialism. Transculturaction helps to recognize as evident the history of every culture to hybridize with other cultures and to generate new and unpredictable ‘creole’ forms. Just as Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Edouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Edourdo Galeano, Sub-commandant Marcos, Leonardo Boff, and many others have taught us. Transcultural thought and action point to what takes place in the reciprocity of exchange and the unforeseeable transformation, away from violence and command. Following the Latin American thinking, we would like to present ourselves as those who offer a response from the part of Europe, in counterpoint and in rapport. We have identified and structured the idea and project of transculturaction in three movements, not so much successive as instead contemporary and co-evolving: De-colonization, Creolization and turning into a World-Community, all on a reciprocal basis. For, as the Epicurean philosopher Philodemo of Gadara wrote, only each can save the other. Only thus the new poetic of Interbeing and Relationship can replace peacefully, even if implacably, the metaphysical markings of the “ancient European regime”: Being, Identity and Universality. These philosophical categories later became ideological and are now words that are abused and do not merit mention, being false. We consider these to be still the most potent markings of the superstitious Eurocentric cosmovision that by rhetoric holds sway over the political leadership and a wide section of the European ‘people’, even though the process of its extinction has begun. The transcultural cosmovision and its practical and training mission, which constitute the “action” in the word ‘transculture-action’ and the new intention of “doing together”, would serve us Europeans to de-colonize ourselves, to creolize us and to turn into a world community. The first step in this regard is really the liquidation and jettisoning of the Eurocentric iron concept of modernity: the pretension that we can do everything and on our own, being the people who carry the torch of a superior civilization. That ode of “The White Man’s Burden” of Kipling, written in 1898, will be countered by the cannibal motto of Oswaldo de Andrade, from his ‘Anthropophagous Manifesto’ of 1928: “Before the Portuguese discovered Brazil, Brazil had discovered happiness”. We should learn, educate and salvage ourselves together with the migrants and with all the cultures of the world that we have put on the road to extinction with our “discovery”. All that does not by any means imply the surrendering of the European identity, or even better: an escape from our historical responsibility. It signifies our decision to opt for re-educating ourselves to be able to see and recognize that which is being offered to us in the twenty-first century, an extraordinary chance to create a New World in Europe too. We think that Modernity will not be able to end before that happens or without that happening. It is like the time when having to deal with the Goths from Scandinavia, the Magyars from the Steppes, and the Moors from Arabia and Africa, the Europe of the day became Europe in common.

Transculturaction is a way to recognize and comprehend properly (à propos, said Montaigne) the migratory and social phenomena of our time, and to propose and build new statutes of individual and community well-being. While experiencing “living together in society with a wholesome humanity” and “creative co-evolution”, we intend to engage in research and experiment with changes in the ordering and solidity of knowledge, in the itineraries of school training, in the projects of community experiences, in the modes of sharing creativity. If not now, when? – wrote Primo Levi, one of the witnesses of the victims of insane European brutality.

To convey your support, please write to armandognisci@libero.it mentioning the name of the city or the country of residence. For the people of foreign origin residing in Italy, the examples cited below, if wanted, can be followed.
Christina de Caldos Brito, Rome, from Brazil.
Bozidar Stanisic, Udine, from Bosnia, or ex-Yugoslavia: “I am not sure of anything about where I am truly from…”

ارماندو نيشي
مانفستو الثقافة عابرة المسافات
16 مايو 2011، روما
التثقيف العابر للحدود والمسافات يجب أن يقوم بتجريب وترويج ممارسات نقدية لها فعل عابر للمسافات بين المعارف المعاصرة، بهدف إنتاج رؤية كونية جديدة من خلال أشكال من التحرك الإبداعي والصحي: بين البشر، والأجناس، والأجيال، والثقافات ؛ بين البشر وغير البشر، بين الأحياء والكوكب المسكون منا نحن جميعا والكون، واللذين نتشارك فيهما معا.
نحن نعتقد، ولسنا وحدنا، أن التعدد الثقافي، والمبادلة الثقافية، مصطلحان يعبران عن مفهومين يجب مراجعتهما مراجعة عميقة في أوروبا الغربية، وفي الاتحاد الأوروبي، حيث لدينا: أوروبا التي تعبر أزمة سياسية واضحة، والاتحاد الأوروبي، وما هو إلا قارب تحت رحمة بحر متوسط يعاني من أزمة معنى.
ونحن نتصور أن الأزمة السياسية الأخيرة التي أعلنتها بضجة شديدة المستشارة الألمانية أنجيلا ميركل تمثل النتيجة الأخيرة للرؤية العنيدة والمضطربة للمركزية الأوروبية وللسياسة الاتحادية للأوروبيين المتحدين داخل دائرة من النجوم كما يبدو في علم الاتحاد الأوروبي. ولكن، ومن وجهة نظرنا فإن نتيجة عدم تخلص الأوروبيين من الاستعمارية، من داخلهم، مما كانوا عليه وسيظلون عليه: مستعمرون خارج أوروبا وأصحاب بيت داخل أوروبا .هو الطلب نفسه كان قد طلبه في أعوام الخمسينيات من القرن العشرين للأوروبيين مفكران كبيران: أحدهما فرنسي والآخر ناطق بالألمانية، من جزرالانتيل المارتينيك: جان بول سارتر وفرانتز فانون.
لقد فسدت المصطلحات – المفاهيم (التعدد الثقافي والمبادلة الثقافية) بسبب عدم التخلص من الاستعمارية التي لا تزال تعشش في عقولنا رغم أنه مطلب يظل دائما مطلبا ملحا: أولاً، ضد حضارات العالم في العصور الحديثة التي اغتصبناها نحن [غزاة-مستعمرون] ثم أعدنا تكييفها في أوروبا من أجل "استيعاب" الأفارقة والآسيويين، ولا سيما بعد إنهاء الاستعمار غير المكتمل والفاشل للشعوب التي دمرناها ، وأيضا وعلى نحو أساسي كرد فعل على الهجرة الكبرى من "المعذبين في الأرض" في الأقاليم الضيقة التي ازدحمت بساكنيها بالفعل في ذيل شبه جزيرة شبه أوراسيا. إيطاليا على سبيل المثال يبلغ تعدادها الآن 60 مليون نسمة. ومن أجل الأمل في أن نعيش سعداء يجب أن نصبح نصف هذا العدد، مع 20% من المهاجرين ينمون معا.
السعادة بتنظيف كل ما يغطي إيطاليا: من القمامة في الشوارع، من الأسمنت، من الأسبستوس، ومن الفساد ومن أكاذيب الحياة السياسية، من كارثة أن نكون البلد الأوروبي الموحد الأكثر إصابة بمرض الجريمة، والصورة الاجتماعية الوحيدة التي تتطور جنبا إلى جنب مع المجتمع المدني فتجهل شخصيته ثم تقتله. لقد اكتشف الأوروبيون اليوم أنهم عنصريون داخل أوطانهم. هذا النوع من "العنصرية الجديدة للديمقراطية" هو المرادف القوي للفشل السياسي للتعددية الثقافية المتعسفة والمبادلة الثقافية الواهية، والتي يمكن أن نعرفها على أفضل تقدير بأنها: حسنة نية وخيرية.
إننا نعتقد أن أزمة نماذج التكيف الاجتماعي تلك تحملنا على اكتشاف زوال الأطماع الاستعمارية القديمة من الأذهان الأوروبية (سواء في المستعمرات القديمة أو داخل أوروبا) للقوى الإمبريالية السابقة:فهناك الاستيعاب، فرنسا، والاندماج: في المملكة المتحدة وألمانيا، وعلى نحو مضطرب في إيطاليا. من الضروري الاعتراف بأن عقده العلاقة الكبرى بين ثقافاتنا نحن الأوروبيين وثقافة الوافدين متعددي الهوية القادمين إلينا، هي علاقة مشوهة ومتحيزة. والحقيقة أن المهاجرين لا يأتون إلينا لغزونا أو استعمارنا، وإنما لكي يعيشوا معنا حياة صحيحة وصحية في جماعة لها ثقافة عابرة للمسافات نبنيها معا، في أوروبا. وعلى العكس، نواصل هذه الرؤية "السطحية" للتطور المشترك، مع أنها تنذر بالخطر. لو واصلنا التفكير فيها تفكيرا جيدا عميقا لابد وأن نصل إلى إدراك أن المهاجرين وحدهم هم الذين لديهم القدرة على ابتغاء هذه "اليتوتوبيا الصحيحة الملموسة". بل إنهم اليوم هم الذين يحملون الإنسانية الصحيحة على أكتافهم، ويحملون المستقبل.
هذا الاكتشاف بدلا من أن يؤدي إلى الفزع على الهوية والحنق العنصري، كان لابد أن يؤدي بالأوروبيين إلى تكوين رؤية أوسع للتعايش بين الناس. كما فعلت بعض البلديات الصغيرة في الجنوب الإيطالي، ذلك الجنوب الذي ليس له جنوب، تلك الأرض التي لا زمن لها، لأنه لم يكن لها زمن أبدأ. أرض دهمها الفقر، والهجرة، والجريمة. لقد دعا أهل كالابريا المهاجرين الذين وصلوا إليها غرقى من مركب على شطآن البحر الأيوني، أن يقيموا معهم، في قرى ومدن كالابريا الصغيرة. في بيدولاتو، ورياتشى، وكالونيا وغيرها، لكي يمنحونا الأمل في إمكانية أن نعيش معا من جديد حياة مختلفة. حتى يصبح لنا زمن أفضل. لقد أخرج الألماني فيم فندرز عام 2010 فيلم "الطائرة"، وهو فيلم وثائقي/روائي حول هذه الظاهرة، ليس فقط ظاهرة "الاستقبال" المجرد، وإنما هو عرض على الأجانب أن يقيموا من جديد حياة مشتركة معا. ولكن الأوروبيين الأعلى الذين يحكمون الحياة كلها، حياتنا وحياة الآخرين، قادرون فقط على حماية امتيازات الحضارة الحديثة التي بنوها بالعنف والاغتصاب: صفقات، من كل صنف، وتحكم دائم . ليس بوسع آلات الحكم الأوروبية أن تؤمن للمهاجرين معاملة تليق بحضارة "بورجوازية مستنيرة": ولا حتى "سياسة قذرة" [كما تقول ابنة بارني لبارني] مناسبة لتوقع وعلاج الصعوبات والصراعات، بقوانين شرطية وعنصرية، قوانين بر وتضامن. وهو ما يعني أننا لسنا قادرين على التفكير في أي مستقبل، بل ولا حتى إعداد مجتمع عابر الثقافات مع من يرغب فيه، حتى وإن لم يكن يعي ذلك.
لقد ولد التثقيف العابر للمسافات، ونما وترعرع – كمفهوم انثروبولوجي ثقافي أو كلمة عادية حتى وإن كان لها أصل في الثقافة العالية: كلمات معروفة في أمريكا اللاتينية، بشمالها وجنوبها، بل وفي عالم الأمريكيتين الجديد. إنها بلاد ليست فقيرة، ولكن الاستعمار الأوروبي أفقرها ودمرها، ثم تلاه استعمار شمال أمريكا. إن التثقيف العابر للمسافات يساعد على التعرف بوضوح على التاريخ الخاص بكل ثقافة والتهجين مع ثقافات أخرى وتوليد قوالب جديدة "ممتزجة" وغير متوقعة. هذا هو ما علمنا إياه فرناندو أورتيس، واوزوالدو دي اندراد، وأيمى سيزار، وفرانتز فانون، وإدوارد جليسان، ووالتر مينيولو، وروبرتو فيرنانديز ريتامار، وإدواردو جاليانو، وسوبكوماندانتي ماركوس، وليوناردو بوف، وكثيرين غيرهم. يشير فكر الثقافة العابرة وممارستها إلى ذلك الذي يحدث في التبادل من الطرفين أو في التحول الذي لا يمكن توقعه، بعيدا عن العنف والتحكم.
وإذ نتابع الفكر في أمريكا اللاتينية نريد أن نطرح أنفسنا من أولئك الذين يلبونه من الجانب الأوروبي كليا وجزئيا. لقد حددنا وفصلنا الفكرة والمشروع، مشروع التثقيف العابر للحواجز والمسافات، في ثلاث حركات، ليست متتالية قدر ما هي متزامنة أو تتطور معا: التخلص من الاستعمارية، المزج الثقافي، العالمية، وكلها تبادلية فيما بينها. حتى نستطيع أن ينقذ كل منا الآخر، كما كتب الفيلسوف الأبيقوري فيلوديموس دي جادارا. هكذا فقط يمكن أن تحل شاعرية الاهتمام والانتساب بسلام وبدأب محل العلامات الميتافيزيقية الفارقة "للنظام الأوروبي القديم": الكينونة والهوية والعالمية. هذه العلامات الفلسفية الفئوية والتي أصبحت بعد ذلك أيديولوجية، ثم أصبحت الآن مجرد كلمات مبتذلة تثير التقزز عند قولها، لأنها أكاذيب، نعتقد أنها لا تزال علامات قوية جدا على الرؤية الكونية الأوروبية المركزية غير القائمة على حقائق علمية، والتي لا تزال تحكم على نحو بلاغي القيادات السياسية والجزء الأغلب من "الناس" في أوروبا، حتى وإن كانت في سبيلها للانقراض. أما الرؤية الكونية للثقافة العبارة والمهمة العملية والتعليمية، فيما يتضمنه مصطلح التثقيف العابر للمسافات وتتضمنه النية في العمل المشترك، فتفيدنا نحن الأوروبيين في تخليص أنفسنا من الاستعمارية وامتزاجنا بالآخر ولكي نصبح عالميين.
والخطوة الأولى هي بالتحديد تصفية واستبعاد النواة الحديدية لفكر المركزية الأوروبية في العصر الحديث: فرية أننا نستطيع أن نفعل كل شيء وحدنا، باعتبارنا حاملي نور الحضارة الأعلى. ذلك الشعار الذي طرحه كبلنج في قصيدته عام 1898 "عبء الرجل الأبيض" نضع في مواجهته الشعار الذي طرحه بوحشية اوزفالدو دي اندراد في "مانفيستو آكلة لحوم البشر" لعام 1928: "قبل أن يكتشف البرتغاليون البرازيل كانت البرازيل قد اكتشفت السعادة".
يجب علينا أن نتعلم كيف نربي أنفسنا وننجو معا، مع المهاجرين ومع جميع ثقافات العالم، والتي بدأنا نحن طريقها إلى الانقراض بحركة "الاكتشافات" التي قمنا بها. وكل هذا لا يعني في واقع الأمر التراجع عن الهوية الأوروبية، أو بالأحرى: الهروب من مسئوليتنا التاريخية. ولكن يعني أن رغبتنا في اتخاذ القرار في إعادة تعليمنا وتربيتنا، للوصول إلى رؤية الفرصة التي أتاحها لنا القرن الحادي والعشرون والتعرف عليها لخلق عالم جديد في أوروبا أيضا.
إننا نتصور أن الحداثة لن تستطيع أن تنتهي قبل أن يحدث هذا أو دون أن يحدث هذا. مثلما حدث عندما أصبحت أوروبا أوروبا، بعلاقتها مع القوطيين في اسكندنافيا، والمجريين في الأحراش والمسلمين العرب والأفارقة.
إن التثقيف العابر للمسافات هو السبيل للتعرف على الظواهر الهجروية والاجتماعية لعصرنا، وفهم هذه الظواهر فهما جيدا، ولكي نطرح ونبني قواعد جديد للرخاء الفردي والجماعي.
إننا نقصد بممارسة "التعايش بإنسانية صحية" و"التطور المشترك المبدع" أن نبحث في مراجعة واقع الحال ونجرب فيه، وفي تماسك المعارف وسبل التعليم في المدارس والإجراءات الجماعية، والقدرة الإبداعية التي نتقاسمها مع الغير.
"إن لم يكن الآن فمتى؟" هذا هو ما كتبه بريمو ليفي، أحد شهود ضحايا اللانسانية الحمقاء لأوروبا.

المنضمون للمانفستو
الساندرو تامينو – روما
روسانا كريسبيم دا كوستا، فيلتريا سانتا أجاتا، تلال ريميني، من البرازيل
كريستيانا دي كالداس بريتو، روما، من البرازيل
فلافيا كابوروسسيو، روما
مانويلا ديروساس، مكسيكو سيتي
ميا ليكومتي، روما
جيوفانا تشيبولاري، أنكونا
ماريو أوليفيرو، كييتي
حسين محمود ، القاهرة، مصر
أندريا جاتسوني، تشيزينا والولايات المتحدة الأمريكية
ريتا مارنوتو، كويمبرا بالبرتغال
ديللا باساريلي، روما، دار نشر سنوس
أنجيلو كافالوتشي، أنكونا
بيرانجيلا دي لوكيو، بوتنسا
جوزيبي تيدسكو، رابطة "مهاجرون بلا حدود" بريدجو كالابريا، ريدجو كالابريا
أرنولد دي فوس، ترينتو، من هولندا
[Tradotto da Hussein Mahmoud, Direttore de Dipartimento di Italianistica dell’università di Helwan, Il Cairo]


ADESIONI
Per comunicare l’adesione si prega di mandare l’avviso a agnisci@yahoo.it o armandognisci@libero.it indicando la città o la nazione nella quale si vive; invito gli stranieri in Italia a seguire scegliendo tra questi due esempi:
Christiana de Caldas Brito, Roma, dal Brasile
Bozidar Stanisic, Udine, dalla Bosnia, o dall’ex-Jugoslavia: “non sono sicuro di nulla da dove sono davvero...”

Adesionitransmantra

To convey your support, please write to agnisci@yahoo.it, mentioning the name of the city or the country of residence. For the people of foreign origin residing in Italy, the examples cited below, if wanted, can be followed.

Bozidar Stanisic, Udine, from Bosnia, or ex-Yugoslavia: “I am not sure of anything about where I am truly from…”
Roberto Fernández Retamar, La Habana, Cuba (pubblicherà il mantrans, in spagnolo e nel testo in via di ricomposizione di 20 pagine circa, sulla rivista Casa de Las Américas)
Shirley de Souza Gomes Carreira, Rio de Janeiro (ha diffuso il mantrans in Brasile)
Sharmistha Lahiri, New Delhi
Milan Gjurcinov, Skopje
Alessandro Tamino, Roma
Hussein Mahmoud, Il Cairo, Egitto (ha diffuso il mantrans in Egitto e lo sta traducendo in arabo)
Rosana Crispim da Costa, Sant'Agata Feltria, colline di Rimini, dal Brasile
Christiana de Caldas Brito, Roma, dal Brasile
Flavia Caporuscio, Roma
Manuela Derosas, Città del Messico, dall’Italia (ha tradotto e diffuso il mantrans in spagnolo)
Barbara Pumhösel, Firenze, dall’Austria
Mia Lecomte, Roma
Giovanna Cipollari, Ancona
Mario Oliviero, Chieti
Andrea Gazzoni, Cesena e USA
Rita Marnoto, Coimbra, Portogallo
Della Passarelli, Roma, casa editrice Sinnos
Angelo Cavallucci, Ancona
Pierangela Di Lucchio, Potenza
Giuseppe Tedesco, Associazione Immigrati Senza Frontiere di Reggio Calabria, Reggio Calabria
Arnold de Vos, Trento, dall’Olanda
Bernadette Grampa, Paris
Bozidar Stanisic, Udine, dalla Bosnia, o dall’ex-Jugoslavia: “non sono sicuro di nulla da dove sono davvero...”
Camille Plan, Paris (ha tradotto e diffuso il mantrans in francese, sta traducendo il nuovo testo aggiornato)
Fabrizia Mariconda, Parma
Carlo Marcello Almeyra, Città de Messico, dall’Italia
Daniele Barbieri, Imola
Paola Capon, Città del Messico, dall’Italia
Andrea Cerioli, Pavia
Rosa Di Violante, Roma
Marco Gatto, Castrovillari (Cosenza)
Francesco Armato, Atene, dall’Italia
Roberta Derosas, Marsiglia, dall'Italia
Francesca Casmiro, Universidad Autónoma de Chiapas, Messico, dall’Italia e prima dal Perù (ha diffuso il mantrans in Chiapas)
Mohamed Malih, Senigallia, dal Marocco
Ana Lozano de la Pola, Valencia, Spagna (ha diffuso il mantrans in Spagna)
Jose Luis Bernal Arevalo, Città del Messico
Annarita Garbini, Cecchina (Roma)
Maria Cristina Mauceri, Sydney, dall’Italia
Laila Wadia, Trieste, dall’India
Alberto Masala, Bologna, dalla Sardegna perenne
Adriana Cristina Crolla, Santa Fé, Argentina (ha diffuso il mantrans in Argentina)
Giulia Penzo, Chioggia
Waafa Raouf, Il Cairo
Sara Rendina, Roma
Maria Luisa Pirritano, Roma, dalla Calabria
Miro Villar, Santiago de Compostela (ha tradotto e diffuso il mantrans in galego)
Anna Di Sapio, Legnano
Gezim Hajdari, Frosinone, dall’Albania
Anastasija Gjurcinova, Skopje, Macedonia (ha diffuso il mantrans nei Balcani)
Cristiano Spila, Roma
Alberto Melandri, Ferrara
Rita Terezinha Schmidt, Porto Alegre, Brasil
Helena Coimbra Meneghello, Brasil
Andrea Piccinelli, Grotte di Castro, Viterbo
Patricia Peterle, Florianópolis, Univ. Federal de Santa Catarina, Brasil (ha tradotto e diffuso il mantrans in porto-brasiliano)
Paolo Trabucco, Ferrara
Andrea Manzo, Napoli
Marilena Lafornara, Martina Franca (Taranto)
Veronica Orfalian, Roma, dall’Armenia che non c’è più
Ingrid Stratti, Trieste e Bruxelles
Yousef Wakkas, Siria
David Tozzo, Roma e altrove
Ali Mumin Ahad, Melbourne, Australia
Juliana Raffaghelli, Venezia, dall'Argentina
Ezzat El Kamhawy, direttore della rivista letteraria “Doha”, Qatar, dall'Egitto

Um belíssimo texto de Roberto Retamar

Varias maneras de mirar a un mirlo, digo, a una literatura

segunda-feira, 23 de maio de 2011

Manifesto transculturale

Armando Gnisci

Manifesto transculturale

16 maggio 2011, Roma

La Transculturazione deve sperimentare e promuovere pratiche critiche di azione transculturale tra i saperi contemporanei allo scopo di produrre una nuova cosmovisione comunitaria attraverso forme di azione creativa e di salute generale: tra le persone umane, tra generi e tra generazioni, tra le culture; tra le persone umane e le non-umane, tra i viventi e il pianeta abitato da noituttinsieme e il cosmo, di entrambi i quali siamo partecipi. Noi crediamo, ma non da soli, che il Multiculturalismo e l’Interculturalità siano due parole-concetti che debbono essere revisionati profondamente nell’Europa occidentale e nell’Unione Europea, dove abitiamo: il Multiculturalismo attraversa una evidente crisi politica, la Interculturalità, a sua volta, sembra una barchetta in balìa mediterranea di una crisi di senso. Noi pensiamo che la crisi politica, di recente annunciata clamorosamente dalla premier germanica Angela Merkel, rappresenti l’ultima conseguenza della persistente e confusa visione eurocentrica della politica unitaria degli europei uniti nel cerchio di stelle. Ma, anche, dal nostro punto di vista, l’esito della mancata decolonizzazione degli europei da se stessi, dall’essere stati e tuttora esserlo: coloni e padroni. Una richiesta che fu fatta negli anni 50 del XX secolo agli europei da due grandi intellettuali: uno francese e l’altro francofono, della Martinica antillana: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.

Le parole-concetti, multiculturalismo e interculturalità, sono state logorate dalla mancata, ma sempre più urgente, decolonizzazione delle nostre menti ancora coloniali: prima, nei confronti delle civiltà violentate da noi co-co [conquistatori-coloni] planetari della modernità, e poi riadattata in Europa per “accogliere” africani e asiatici, soprattutto, dopo la decolonizzazione incompiuta e fallita dei popoli da noi devastati, ma soprattutto come reazione alla recente Grande Migrazione dei “dannati della terra” negli stretti territori già superaffollati della coda peninsulare dell’Eurasia. L’Italia, ad esempio, conta 60 milioni di abitanti. Per sperare di essere “felici”, dovremmo diventare la metà, con il 20% di immigrati, in coevoluzione. Ripulendo tutto ciò che ricopre il Bel Paese: dall’immondizia dalle strade e dai campi, dal cemento e dall’eternit, dalla corruzione e dalla menzogna della vita politica, dalla sventura di essere la nazione europea unita più ammalata di criminalità, l’unica forma sociale che coevolva con la società civile anomizzandola, ammazzandola.

Gli europei oggi hanno scoperto di essere razzisti in casa propria. Questa specie di “neo-razzismo nella democrazia” è il sintomo più forte del fallimento della politica del multiculturalismo coatto e della interculturalità astratta che, nel migliore dei casi, possiamo definire: volenterosa e caritatevole. Noi crediamo che la crisi di quei modelli di adattamento sociale stia portando allo scoperto la rimozione nelle menti europee delle vecchie pretese coloniali (sia nelle antiche colonie che in casa) delle ex-potenze imperiali: l’assimilazione, la Francia, e l’integrazione: l’UK, la Germania e, molto confusamente, l’Italia. È necessario riconoscere che il nodo della grande relazione interculturale tra noi europei e le persone-moltitudini che vengono da noi, è distorto e ingiusto. I migranti, infatti, arrivano non per conquistarci e colonizzarci, ma per vivere con noi una vita più giusta e salutare in una nuova comunità transculturale da costruire insieme, in Europa. Invece, continuiamo a rimuovere questa “banale” visione coevolutiva. Perché può diventare minacciosa. Se continuassimo a pensarla per bene e fino in fondo, infatti, dovremmo arrivare alla presa d’atto che proprio e solo i migranti hanno la capacità di desiderare questa “utopia giusta e concreta”. Anzi, che sono loro oggi portatori di sana umanità e di futuro. Questa scoperta, invece che al panico identitario e alla rabbia razzista, dovrebbe portare gli europei a costruire una visione più larga della convivenza tra le genti. Come hanno fatto alcuni piccoli comuni del Sud dell’Italia, quel Meridione senza meridiano, quella terra senza ora, perché mai è stata la sua ora. Un paese devastato dalla povertà, dall’emigrazione e dalla criminalità. I calabresi hanno pregato i migranti arrivati come naufraghi nei barconi alle sponde del Mare Ionio, di rimanere insieme a loro nei piccoli paesi della Calabria: Badolato, Riace, Caulonia e altri, per darsi la vicendevole speranza di poter ri-vivere insieme una vita diversa. Per avere un’ora migliore. Il regista tedesco Wim Wenders, nel 2010, ha girato “Il Volo”, un documentario-narrativo su questo fenomeno non tanto di mera “accoglienza” quanto di proposta agli stranieri di ridarsi-vita insieme. Ma gli alti europei che governano le vite, di noi e degli altri e dei futuri, sono capaci solo di difendere i privilegi della civiltà moderna creata con la violenza e l’usurpazione: affari, in tutti i modi, e comando, sempre. Le macchine governative europee non sono capaci di assicurare ai migranti nemmeno un trattamento da civiltà “borghese e illuminata”: nemmeno una “porca politica” [come dice la figlia di Barney a Barney] adeguata a prevedere e a rimediare difficoltà e conflitti, leggi di polizia e razzismo, carità e solidarietà. Il che significa che non siamo capaci di pensare alcun futuro e tantomeno di preparare una società transculturale, insieme con chi la desidera, anche senza saperlo.

La Transculturazione è nata e prospera – come concetto antropologico culturale e come parola comune anche se di origine colta: transculturación e transculturação – nella parte centrale, in quella antillana e in quella meridionale del Mundus Novus delle Americhe. Come nazioni non povere ma impoverite e devastate, e non domate, dal colonialismo europeo e poi da quello nordamericano. La Transculturazione aiuta a riconoscere come evidente la storia propria di ogni cultura a ibridarsi con altre culture e a generare nuove forme “creole” e imprevedibili. Così come ci hanno insegnato Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Èdouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo Boff e tanti altri. Il pensiero e la prassi transculturali indicano che ciò avviene nella mutualità dello scambio e nella trasformazione imprevedibile, aldilà della violenza e del comando. Seguendo il pensiero latino-americano, vogliamo proporci come coloro che rispondono ad esso dalla parte europea, in contrappunto e in relazione. Noi abbiamo individuato ed articolato l’idea e il progetto della Transculturazione in tre movimenti, non tanto successivi quanto, invece, contemporanei e coevolutivi: Decolonizzazione, Creolizzazione e Mondializzazione, tutte mutue. Perché possiamo salvarci solo l’un l’altro, come scrisse il filosofo epicureo Filodemo di Gadara. Solo così la nuova poetica dell’Interessere e della Relazione può sostituire pacificamente, anche se implacabilmente, le marche metafisiche dell’ ”antico regime europeo”: l’Essere, l’Identità e l’Universalità. Noi pensiamo che queste categorie filosofiche, diventate poi ideologiche e ormai solo parole abusate e indegne a dirsi, perché menzognere, siano ancora le potentissime marche delle superstizioni della cosmovisione eurocentrica che tuttora governa retoricamente le guide politiche e grande parte della “gente” europea, anche se la sua estinzione è già in cammino. La cosmovisione transculturale e la sua missione pratica e formativa, che è l’azione che sta dentro alla parola transcultura-azione e nella nuova intenzione del fare insieme, servono a noi europei per decolonizzarci, per creolizzarci e per mondializzarci. Il primo passo da fare è proprio la liquefazione e il licenziamento del nucleo di ferro del pensiero eurocentrico della modernità: la pretesa che possiamo fare tutto e sempre da soli, in quanto portatori della luce della civiltà superiore. Quel “The White Man’s Burden” dell’Ode di Kipling, del 1898, al quale opponiamo il motto cannibale di Oswaldo de Andrade, dal suo “Manifesto Antropofago” del 1928: “Prima che i Portoghesi scoprissero il Brasile, il Brasile aveva scoperto la felicità.” Dobbiamo imparare ad educarci e salvarci insieme con i migranti e con tutte le culture del mondo, che proprio noi abbiamo avviato all’estinzione con la “scoperta”. Tutto ciò non significa affatto la rinuncia all’identità europea, o meglio: la fuga dalla nostra responsabilità storica. Ma significa il nostro voler decidere di ri-educarci, per arrivare a vedere e a riconoscere che ci è offerta, nel XXI secolo una straordinaria chance per creare un Mundus Novus anche in Europa. Noi pensiamo che la Modernità non potrà finire mai prima che ciò accada o senza che ciò accada. Come quando l’Europa diventò Europa avendo a che fare con i Goti della Scandinavi, i magiari delle steppe e con i Mori arabi e africani.

La Transculturazione è una via per riconoscere e comprendere per bene (à propos, diceva Montaigne) i fenomeni migratori e sociali del nostro tempo, e per proporre e costruire nuovo statuti del benessere individuale e comunitario. Con le pratiche della “convivenza nella sana umanità” e della “coevoluzione creativa”, intendiamo fare ricerca e sperimentare una revisione della disposizione e della consistenza dei saperi, dei percorsi formativi della scuola e delle pratiche comunitarie, della creatività condivisa. Se non ora, quando? scriveva Primo Levi, uno dei testimoni delle vittime della folle disumanità europea.

Per comunicare l’adesione si prega di mandare l’avviso a agnisci@yahoo.it indicando la città o la nazione nella quale si vive, e per gli stranieri in Italia, invito a seguire questi esempi, a scelta:
Christiana de Caldas Brito, Roma, dal Brasile
Bozidar Stanisic, Udine, dalla Bosnia, o dall’ex-Jugoslavia: “non sono sicuro di nulla da dove sono davvero...”

Adesioni

Shirley de souza Gomes Carreira, Rio de Janeiro, dal Brasile
Alessandro Tamino, Roma
Rosana Crispim da Costa, Sant'Agata Feltria, colline di Rimini, dal Brasile
Christiana de Caldas Brito, Roma, dal Brasile
Flavia Caporuscio, Roma
Manuela Derosas, Città del Messico, dall’Italia
Barbara Pumhösel, Firenze, dall’Austria
Mia Lecomte, Roma
Giovanna Cipollari, Ancona
Mario Oliviero, Chieti
Hussein Mahmoud, Il Cairo, Egitto
Andrea Gazzoni, Cesena e USA
Rita Marnoto, Coimbra, Portogallo
Della Passarelli, Roma, casa editrice Sinnos
Angelo Cavallucci, Ancona
Pierangela Di Lucchio, Potenza
Giuseppe Tedesco, Associazione Immigrati Senza Frontiere di Reggio Calabria, Reggio Calabria
Arnold de Vos, Trento, dall’Olanda
Bernadette Grampa, Paris
Bozidar Stanisic, Udine, dalla Bosnia, o dall’ex-Jugoslavia: “non sono sicuro di nulla da dove sono davvero...”
Camille Plan, Paris
Fabrizia Mariconda, Parma

segunda-feira, 1 de novembro de 2010

quarta-feira, 27 de outubro de 2010

Intervista al Prof. Armando Gnisci

Pubblicato il: 20/10/2010
In: Il nostro Ateneo, Interviste, Università

Professor Gnisci, parliamo della lettera di commiato che ha esposto nella sua bacheca, anticipando l’addio dal mondo dell’università a decorrere dal 1 Novembre 2010 andando prematuramente in pensione. Può spiegarci meglio quali sono i motivi che l’hanno portata a rinunciare al mondo dell’università e della ricerca?

Io non sto rinunciando alla ricerca, allo studio e all’impegno civile. Mi sono solo dimesso dall’università perché ho dato troppo. Non ho fatto solo il mio dovere, bensì molto di più. Ho resistito per 40 anni in un luogo che è diventato sempre di più, a mio avviso, malato e inadeguato. Per 40 anni ho fatto resistenza anche al potere becero della baronia accademica universitaria, alla volgarità e al malanimo. Dagli anni ’80 in poi la nostra vita civile e universitaria sono man mano decadute. Non solo dal punto di vista degli scandali accademici; l’università ha risentito, così come tutta la società, dell’ “imbarbarimento”, come lo chiama Eugenio Scalfari, della nostra vita quotidiana e della cultura della nazione o meglio, della repubblica: la cosa di tutti. La repubblica svanisce in Italia. Invece di crescere. Negli ultimi 16 anni è diventato un luogo di dispotismo caotico, di “deculturazione“, di abbattimento dei valori culturali di questa nazione etc.

Mi sono opposto a tutto questo, anche al “berlusconismo“: un despota che ci governa che ha in mano la stampa, la comunicazione di massa e le case editrici, inquinando così la nostra vita culturale oltre che l’educazione della repubblica. Lui e il suo alleato, il signor (credo sia signor, ma è un signore?) Bossi, formano la doppia immagine dell’attuale inciviltà italiana e dei modi di essere incivili, incolti e ignoranti all’italiana. Essi governano gli italiani mediante “l’incoltura”, l’ignoranza, il “pressappochismo”, biascicando bestemmie e insulti con il linguaggio da “billioner” e da taverna celtica. Tutto questo non è solo maleducazione, è orrore. A tutto questo orrore ho resistito dentro l’università: andando a finire addirittura in tribunale e condannato per aver scamiciato un preside (per tre volte consecutive) della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza che governò la “repubblica delle lettere” con il motto “filosofia e pecorino”. Mi sono dedicato quasi totalmente all’insegnamento; dico “quasi” perché dall’’80 a oggi ho pubblicato 43 libri, facendo quindi un po’ ricerca. I miei scritti sono stati tradotti in 12 lingue: dall’arabo al cinese mandarino, all’inglese, spagnolo, portoghese, francese, serbo e macedone, galego ecc.

In 40 anni, ho dato molto agli studenti e al pensiero critico. Ora basta! Voglio liberarmi dalla stretta nella quale sono rimasto per tutti questi anni, lottando per il bene delle nuove generazioni. E torno nella “Casa del Mondo”, dedicandomi alla ricerca e all’insegnamento, ma non nelle università private italiane o in quelle americane; andrò a conversare portando quello che so nelle scuole elementari, nelle unità terapeutiche di bambini che soffrono di cecità o tumori. Vado a parlare con loro, raccontando favole tradotte da me da barzellette deliziose, non quelle sconce del premier, e da poesie di Wasława Szimborska, la poeta polacca premio Nobel.

Traduco in favole barzellette come questa:

“In una bella fattoria gli animali, tutti amici e d’accordo tra loro, stabiliscono di andare a fare un bel picnic in una bella radura di un bosco poco lontano. Si incamminano felici e contenti, forniti di scatolame. Arrivati alla radura s’accorgono che hanno dimenticato di portare l’apriscatole, necessario per pranzare. La tartaruga si offre di andare a patto che nessuno cominci a mangiare prima del suo ritorno. Essa parte ma dopo tre ore tutti cominciano a preoccuparsi. La papera propone di iniziare a mangiare, il cane vuole rispettare il patto mentre il gatto esorta tutti a cominciare il pasto e alla fine decidono di cominciare a mangiare qualcosa. Una vocina proveniente da dietro un albero a 500 metri da loro fa scattare l’attenzione dei commensali e riconoscono la tartaruga, secondo loro di ritorno. Dice: ”Ho sentito tutto, avete deciso di mangiare. Lo ripeto, o mi aspettate o manco ci vado!”.

La tartaruga dopo 3 ore era solo a 500 metri da lì, e stava ancora andando. È una barzelletta molto graziosa, l’ho trovata in un libro di filosofia, raccontata da un filosofo ad un altro filosofo: Jacques Derrida che la racconta a Maurizio Ferraris.

Questa barzelletta gentile, virtuosa e arguta può essere trasformata in una favola e poi anche in una messa in scena teatrale. Provo a tradurre da un genere all’altro questi testi e raccontarli ai bambini. Cercherò di fare cose come queste, che siano di sapienza e di gioia; di quello che gli antichi chiamavano gai savoir, gaia scienza, un sapere gaio. Un sapere che sia allo stesso tempo gioia e condivisione. Prima di morire voglio salvarmi, sanarmi e vivere contento.

Lei ha parlato di “malattia” dell’università: da quanto tempo è malata, di quale malattia si tratta e come può guarire, se può?

La malattia fondamentale sta nell’arretratezza culturale e morale della classe politica italiana; sono loro che fanno le leggi e governano, sono i responsabili in senso lato e preciso. Da 40 anni a questa parte l’università è stata continuamente riformata, sempre peggio e senza mai avere un piano razionale e giusto. Negli ultimi 20 anni questo processo è diventato in maniera vorticosa “depravante” e degradante. L’università e la ricerca sono sempre più tagliabili, dimenticabili e trascurabili. L’Italia dedica l’1% del Pil alla ricerca mentre la Germania ne dedica il triplo. Scivoliamo sempre più in basso perché sappiamo solo tagliare la ricerca, il pensiero e le arti. Questa è la malattia italiana: non essere ancora una vera repubblica. Repubblica è comunità e cosa pubblica, di tutti e non di un monarca!

Siamo una democrazia repubblicana imperfetta e marcescente. La nostra storia è, come ho scritto nel libro Decolonizzare l’Italia, la storia di una terra che sin dai tempi dei fenici e dei greci è stata colonizzata. I romani erano una “città”, non un popolo.Tito Livio scrive che Romolo raccolse gente che veniva da tutti i posti; malfattori, ladruncoli e poco di buono, fondando così Roma. E Roma è sempre stata “Urbs” che parla a “orbi”, al mondo. Roma colonizzò l’Italia e tutti i suoi popoli. L’Italia era la prima colonia romana. Per millenni siamo stati colonie di altri stati-nazione europei fino alla colonizzazione dei Savoia. Dico colonizzazione perché i Savoia erano una dinastia francese. La Savoia non è una regione italiana. I Savoia erano duchi e sono diventati Re acquisendo la Sardegna, diventando prima Re di Sardegna e con l’unificazione re d’Italia. Occuparono militarmente il Sud Italia: interi paesi furono distrutti e gli abitanti fucilati. Milioni di loro se ne andarono verso le lontane “Americhe”. E non siamo ancora una nazione, non dipendiamo ancora dal potere tuttora “temporale” del Papa? Solo in Italia i cittadini versano le tasse al Papa mediante il dispositivo infernale dell’otto per mille. I francesi o gli spagnoli, cattolicissimi, non danno i soldi al papa per legge e non pagano l’Ici del Vaticano. La chiesa cattolica ci impone come nascere, come vivere e come morire. Ma non dal punto di vista etico, bensì da quello dallo spirito che detta le leggi: contro l’aborto e sull’uscita coatta dalla vita. Siamo ancora colonia della chiesa cattolica e nell’ultimo ventennio colonia di un novello padrone: Silvio Berlusconi. Queste sono due malattie della repubblica degli italiani. Questo “sgoverno” ha smantellato il welfare, la cultura, la scuola e l’università, le arti e le vite.

Spiegato in questi termini questa malattia dell’Italia sembrerebbe essere arrivata allo stadio “terminale”, di difficile guarigione. Molti docenti, quando vanno in pensione o cambiano ateneo, dichiarano che l’esperienza più bella avuta dall’università è stata il rapporto con gli studenti. La sua lettera lascia intravedere un messaggio di speranza: che consiglio dà quindi agli studenti e ai giovani su come affrontare questa situazione non solo nell’immediato, ma anche in un futuro meno prossimo?

Questa riflessione/domanda è molto importante venendo da un giovane. Come si fa a risanarci da questo orrore che ci è capitato e che abbiamo voluto noi stessi? Io so quello che farò: se finora ho resistito qui dentro, ora vado fuori a parlare ai bambini e ai malati, agli anziani e alle maestre. Allo stesso tempo nel mio piccolo continuerò a condurre un’opera di risanamento culturale. Noi intellettuali abbiamo guadagnato rispetto se abbiamo lottato in questi anni per la civiltà e non per la barbarie. So di averlo fatto, ma ora abbiamo un compito. Risanare, come e quanto sarà possibile, la vita culturale e mentale delle giovani generazioni. Ho speranza in loro e per loro, ma pretendo che reagiscano sul serio. Se non gli studenti universitari delle facoltà umanistiche, per primi chi allora? Gli operai che vanno sui tetti costretti dalla disperazione, perché non riescono a mantenere i figli? Non si può chiedere a loro anche questo. Dovremmo chiederlo ai farabutti che si riciclano? Dobbiamo farlo noi che abbiamo tenuto il fronte della resistenza e che abbiamo ancora qualcosa da dire e da fare. Ma voi dovete aiutarci ad aiutarvi. Se siamo scollati e dispersi, sarà molto difficile. Non credo che quelli che verranno dopo Berlusconi faranno delle leggi perfette e buone. Non mi pare che ci siano in Italia persone veramente capaci di civiltà e giustizia.

Non bisogna mai mollare l’attenzione sul potere, non lasciare che coloro che vanno al potere facciano i loro fatti. Prendere esempio da un giornalista come Marco Travaglio, che lo fa con sagacia e ragione. Deve ristabilirsi in Italia una critica civile della ragione. Com’è possibile tagliare le arti nel paese delle arti, in Italia, nazione che ha costruito ville e palazzi e scritto musica per il mondo intero? I teatri sono costretti ad auto-finanziarsi ospitando matrimoni. I valori di una repubblica vera sono il welfare, lavoro e dignità per i giovani e le donne, coscienza e conoscenza.

Ogni anno ad Ottobre la Liguria frana e a Settembre sono franate Campania e Sicilia. Tutta l’Italia frana. Sfrenati a costruire a tutto spiano col cemento ovunque. Noi stiamo molto al di sotto del livello mentale e culturale della civiltà europea. Abbiamo dato la possibilità ad una classe dirigente di farabutti di “sgovernarci”. Arrivando non solo a tagliare le risorse alla scuola e all’università per risanare i conti dello stato, ma addirittura alle arti! In Italia, come altrove, è una bestemmia.

Il messaggio che manda agli studenti è che le cosa che le sta a cuore è una collaborazione assoluta tra corpo docenti e corpo studenti. Allo stato attuale vede dei segnali positivi in tal senso?

All’interno dell’università no. Vedo solo una difficile e un po’ stentata protesta contro la Gelmini e contro la nuova riforma. I docenti dovrebbero chiudere le università. Invece si barcamenano. I partiti politici non danno nessun lume perché non ne hanno per sé. Gli studenti non possono avere la maturità e la responsabilità politica per opporsi frontalmente al degrado generale. Non possiamo chiedere ai ventenni una forza politica tale da chiudere l’università davanti ad una legge sbagliata, e con un corpo docente “slabbrato” e depravato dal potere.

Lei sta constatando che da parte del corpo docenti sia stato assorbito l’insegnamento che gli italiani stanno ricevendo negli ultimi 30 anni da parte della stampa?

Direi di sì. Ci sono le eccezioni, come sempre. Ma le eccezioni oggi non riescono a trovare e ricevere udienza pubblica. Non sono accettate dalla comunicazione di massa, se non in piccolissime nicchie come nelle trasmissioni di Augias, a ora di pranzo su Rai3, dove la cultura libera degli scienziati e dei filosofi, degli storici e dei letterati ha ancora cittadinanza. Altrimenti, dobbiamo accontentarci, ma io non mi accontento affatto, di Fabio Fazio, il quale fa cultura-spettacolo che sembra illuminata, ma in realtà serve il mercato, con una patina di sinistra politicamente corretta e buonista. Umberto Veronesi ha pubblicato un best seller annunciato, non uno scritto di medicina ma di “humanitas”, va da Fazio. Tony Blair ha appena pubblicato il suo capolavoro, Tony Blair va lì. Non è questa la cultura, è solo spettacolo-vetrina di celebrità. Ho ricordato Augias perché ogni giorno parla di un libro con un scienziato, con un filosofo, con un teologo o un ricercatore sociale, facendo esporre il loro pensiero e non rinunciando, lui per primo, alla vera conversazione critica, e non attraverso interviste melense e ammiccanti come quelle di Fazio, che cercano solo applausi – e spesso per Fazio. Augias esprime un suo pensiero perché ce l’ha, Fazio no, è solo un bravo trafficante di comunicazione televisiva. Siamo ridotti, insomma, a “Che tempo che fa?” e al programma di Augias, entrambi poi sul canale Rai3. I canali di Berlusconi non sanno cos’è la cultura. Ospitano barzellette e mignotte, “sgarbi” e “marchette”. Gli altri due canali pubblici si sono, negli ultimi 10 anni, sempre più allineati sul format berlusconiano. La7, idem. Sky è commerciale, non è protetta dallo stato perché non è Mediaset, ma fa del giornalismo decente, quello che le televisioni di stato e parastato non vogliono e non saprebbero fare.

Ricordando personaggi scomparsi di recente e rilevanti nel nostro piccolo come l’indefesso giornalista Pietro Calabrese e personaggi di importanza globale come Levi Strauss sono stati, in contesti differenti, professionisti e/o intellettuali che avevano un terreno fertile nel quale lavorare. Vivevano in un contesto socio-culturale predisposto nei confronti di figure di questo tipo. Attualmente troviamo una sorta di ostracismo verso chi vuole approfondire e diffondere l’oggetto dei propri studi. Secondo Lei le generazioni a seguire avranno un terreno altrettanto fertile?

In Italia il terreno fertile attualmente è fertile di idiozie, violenza e volgarità. L’Italia nei confronti dell’Europa è una nazione che non lo è mai diventata. Portogallo, Inghilterra, Spagna e Francia hanno creato la modernità. La nostra storia invece è handicappata. Dopo la notte che non passa mai non so se l’Italia abbia in serbo una rinascenza repubblicana.

Un consiglio ai giovani?

Non perdere la speranza, “spes ultima dea” dicevano i latini. La Speranza è stata l’ultima a rimanere tra gli umani ed è allacciata alla giovinezza. Se non l’avete voi non so come sia possibile per tutti noi rifiorire. Speranza non vuol dire aspettare che il mondo cambi ma vuol dire fervore. La mia generazione immaginò una “rivoluzione”. Oggi non ha più senso pensare e parlare così.

Qual è il ricordo più bello legato a questa facoltà?


Non ho nessun bel ricordo legato alla mia docenza a Lettere. Ho sempre vissuto con rabbia e lottando contro. Cercando di non soccombere. Ho buoni ricordi della mia vita con gli studenti: con loro abbiamo fondato una rivista critica di letteratura comparata che era letta in tutto il mondo scientifico internazionale. Ha avuto vita dal 1990 al 2000, si chiamava I Quaderni di Gaia, vi scrissero i maggiori comparatisti del mondo, accanto ai miei allievi. Rarissimamente ospitammo contributi accademici italiani. Finì perché non trovammo più un editore. Con il sopravvento di internet non era più possibile pubblicare su carta una rivista senza avere molti soldi.

Parlando di interdisciplinarità, com’è stato il rapporto tra i vari docenti anche dello stesso dipartimento?


Un muro di chiusura. Come fanno gli israeliani coi palestinesi: “Il territorio è mio, tu stai dietro il muro e non rompere”. Come docente sono stato uno straniero in terra straniera. Da studente fui invece lieto allievo di grandi maestri: Emilio Garroni, Tullio De Mauro, Guido Calogero,Walter Binni, Giulio Carlo Argan

Parlando della sua formazione culturale, come si è avvicinato alle letterature comparate e alla creolizzazione delle letterature?

Mi sono avvicinato a questa disciplina, essendo in Italia uno dei primi e pochissimi a praticarla 30 anni fa, mentre in tutto il mondo i dipartimenti di comparatistica sono i più vivaci e ricchi, facendomi incuriosire da un fenomeno che nasceva nel 1990 e che io ho intercettato per primo: ovvero gli scrittori “immigrati” che pubblicavano in Italia. Su questo fenomeno nascente scrissi un libro nel ’92Il rovescio del gioco in cui proclamai che qualcosa di nuovo accadeva nelle patrie lettere perché in italiano scrivevano persone che venivano da tutto il mondo. Scrivevano per farci sapere che esistevano e pretendevano l’ascolto. Attraverso gli scrittori migranti ho aperto il raggio del mio interesse sulla letteratura mondiale. Letteratura mondiale che però era eurocentrica, incentrata sull’occidente e sull’Europa. E fuori dall’Europa? Cominciai a mettermi all’ascolto degli indiani, dei caraibici, degli africani etc. In questi giorni esce presso Bruno Mondadori (non Arnaldo Mondadori!) il libro La letteratura del mondo nel XXI° secolo sullo stato della letteratura mondiale oggi, che ho scritto in collaborazione con le mie allieve Nora Moll e Franca Sinopoli.

Lo stato della letteratura italiana attualmente qual è?


Non riesco ad entusiasmarmi con la letteratura italiana contemporanea. Le opere proposte sono deprimenti. Lo stesso Gomorra è scritto abbastanza male. Saviano è un giovanotto che vive recluso ed è stato portato a credersi un illuminato, crede d’aver capito il mondo e di saperlo spiegare agli altri. Mi sembra che Saviano venga sempre più “prodotto” come un mito mediatico da parte della comunicazione di massa politicamente corretta. È preoccupante che questo giovane non venga più educato e fatto crescere nel suo talento, e che venga solo e continuamente “celebrato” in quanto recluso. Un altro esempio: La solitudine dei numeri primi è un libro per gente che è felice! Se uno sta minimamente preoccupato per come va la vita sua e in Italia con questa libro si deprime. Sembra una cura depressiva, una storia tristissima e inutile: un milione e mezzo di copie, un libro così mi sorprende! Perché temo che impedisca a molti di leggere Dostoevskij, solo perché è morto da tanto tempo, non è attuale ecc. La Mazzantini non sa narrare. Scrive in un italiano pesante e insoluto, romanzi grossi, scollati e malmessi. Emmaus di Baricco è penoso, non sono riuscito ad arrivare alla terza pagina. Cosa devo pensare della letteratura italiana contemporanea se mi dà solo cose insignificanti, deludenti e deprimenti?

Leggo i miei contemporanei del mondo: africani, caraibici, indiani come Rushdie, Vikram Seth oAmitav Ghosh, Cormac McCarthy, De Lillo, latino-americani, qualche buon poeta europeo; e Dostoevskij! La letteratura italiana contemporanea è una combriccola di combriccole che si sostengono a vicenda e che si appoggiano alla comunicazione di massa di Mondadori e compagni per arrivare alla poltrona di Fabio Fazio. Antonio Albanese, invece, è un genio.

Lei ha lasciato agli studenti un messaggio incoraggiante. Che messaggio lascia invece ai docenti suoi colleghi e ai futuri docenti, che attualmente potrebbero essere i suoi studenti?

Ai miei colleghi non lascio alcun messaggio. Ai giovani che intendono intraprendere la carriera universitaria dico che la situazione è infame. Un mio allievo palermitano, che ho esortato a scrivere un saggio dalla sua bella tesi di laurea, mi mandò una mail segnalandomi un fatto di cronaca agghiacciante: Norman Zarcone, dottorando di 27 anni in Filosofia del Linguaggio alla facoltà di Lettere di Palermo, stava per presentare la tesi di dottorato ma si era buttato dal settimo piano. Il padre, forse eccedendo, parla di omicidio di stato. Questo giovane pre-ricercatore era molto preoccupato dalla precarietà che lo attendeva nella difficile carriera di ricercatore. Prima che essa arrivasse lo ha consumato: la precarietà! Se è questo il destino che la nostra mala società offre alle giovani intelligenze dico che è veramente difficile dare speranza ai ragazzi. Se l’unica speranza siete voi, questo non vale per fare carriera universitaria. Dare speranza su questo punto è nocivo, non si può illudere i giovani. L’assegno di ricerca e il posto di dottorato lo daranno ai “figli, ai nipoti, agli amici di QUELLIche comandano. Non puoi non incitarli a provarci, ma non puoi illuderli minimamente. Anzi, bisogna educarli prima. La situazione è la peggiore possibile, soprattutto nelle facoltà umanistiche. Il padre di Norman Zarcone non è un barone di medicina, non è un editore famoso, non è un capomafia né un governatore. Se il padre fosse stato uno di queste eccellenze forse Norman avrebbe avuto meno angustie d’animo per il suo precariato.

Io non vendo fumo e materassi, non posso illudere. Creare illusioni ai bambini e ai giovani è un peccato gravissimo. Il giovane ci crede perché ha speranza ma non può essere prodotta dall’illusione. Possiamo e dobbiamo essere guide: esortare dicendo a chi lo meriti: ”tu sei bravo, scrivi un saggio, ti guido e ti aiuto a pubblicarlo”, ma non posso dire “tu sei bravo, avrai un posto da ricercatore”.