quarta-feira, 27 de outubro de 2010

Intervista al Prof. Armando Gnisci

Pubblicato il: 20/10/2010
In: Il nostro Ateneo, Interviste, Università

Professor Gnisci, parliamo della lettera di commiato che ha esposto nella sua bacheca, anticipando l’addio dal mondo dell’università a decorrere dal 1 Novembre 2010 andando prematuramente in pensione. Può spiegarci meglio quali sono i motivi che l’hanno portata a rinunciare al mondo dell’università e della ricerca?

Io non sto rinunciando alla ricerca, allo studio e all’impegno civile. Mi sono solo dimesso dall’università perché ho dato troppo. Non ho fatto solo il mio dovere, bensì molto di più. Ho resistito per 40 anni in un luogo che è diventato sempre di più, a mio avviso, malato e inadeguato. Per 40 anni ho fatto resistenza anche al potere becero della baronia accademica universitaria, alla volgarità e al malanimo. Dagli anni ’80 in poi la nostra vita civile e universitaria sono man mano decadute. Non solo dal punto di vista degli scandali accademici; l’università ha risentito, così come tutta la società, dell’ “imbarbarimento”, come lo chiama Eugenio Scalfari, della nostra vita quotidiana e della cultura della nazione o meglio, della repubblica: la cosa di tutti. La repubblica svanisce in Italia. Invece di crescere. Negli ultimi 16 anni è diventato un luogo di dispotismo caotico, di “deculturazione“, di abbattimento dei valori culturali di questa nazione etc.

Mi sono opposto a tutto questo, anche al “berlusconismo“: un despota che ci governa che ha in mano la stampa, la comunicazione di massa e le case editrici, inquinando così la nostra vita culturale oltre che l’educazione della repubblica. Lui e il suo alleato, il signor (credo sia signor, ma è un signore?) Bossi, formano la doppia immagine dell’attuale inciviltà italiana e dei modi di essere incivili, incolti e ignoranti all’italiana. Essi governano gli italiani mediante “l’incoltura”, l’ignoranza, il “pressappochismo”, biascicando bestemmie e insulti con il linguaggio da “billioner” e da taverna celtica. Tutto questo non è solo maleducazione, è orrore. A tutto questo orrore ho resistito dentro l’università: andando a finire addirittura in tribunale e condannato per aver scamiciato un preside (per tre volte consecutive) della Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza che governò la “repubblica delle lettere” con il motto “filosofia e pecorino”. Mi sono dedicato quasi totalmente all’insegnamento; dico “quasi” perché dall’’80 a oggi ho pubblicato 43 libri, facendo quindi un po’ ricerca. I miei scritti sono stati tradotti in 12 lingue: dall’arabo al cinese mandarino, all’inglese, spagnolo, portoghese, francese, serbo e macedone, galego ecc.

In 40 anni, ho dato molto agli studenti e al pensiero critico. Ora basta! Voglio liberarmi dalla stretta nella quale sono rimasto per tutti questi anni, lottando per il bene delle nuove generazioni. E torno nella “Casa del Mondo”, dedicandomi alla ricerca e all’insegnamento, ma non nelle università private italiane o in quelle americane; andrò a conversare portando quello che so nelle scuole elementari, nelle unità terapeutiche di bambini che soffrono di cecità o tumori. Vado a parlare con loro, raccontando favole tradotte da me da barzellette deliziose, non quelle sconce del premier, e da poesie di Wasława Szimborska, la poeta polacca premio Nobel.

Traduco in favole barzellette come questa:

“In una bella fattoria gli animali, tutti amici e d’accordo tra loro, stabiliscono di andare a fare un bel picnic in una bella radura di un bosco poco lontano. Si incamminano felici e contenti, forniti di scatolame. Arrivati alla radura s’accorgono che hanno dimenticato di portare l’apriscatole, necessario per pranzare. La tartaruga si offre di andare a patto che nessuno cominci a mangiare prima del suo ritorno. Essa parte ma dopo tre ore tutti cominciano a preoccuparsi. La papera propone di iniziare a mangiare, il cane vuole rispettare il patto mentre il gatto esorta tutti a cominciare il pasto e alla fine decidono di cominciare a mangiare qualcosa. Una vocina proveniente da dietro un albero a 500 metri da loro fa scattare l’attenzione dei commensali e riconoscono la tartaruga, secondo loro di ritorno. Dice: ”Ho sentito tutto, avete deciso di mangiare. Lo ripeto, o mi aspettate o manco ci vado!”.

La tartaruga dopo 3 ore era solo a 500 metri da lì, e stava ancora andando. È una barzelletta molto graziosa, l’ho trovata in un libro di filosofia, raccontata da un filosofo ad un altro filosofo: Jacques Derrida che la racconta a Maurizio Ferraris.

Questa barzelletta gentile, virtuosa e arguta può essere trasformata in una favola e poi anche in una messa in scena teatrale. Provo a tradurre da un genere all’altro questi testi e raccontarli ai bambini. Cercherò di fare cose come queste, che siano di sapienza e di gioia; di quello che gli antichi chiamavano gai savoir, gaia scienza, un sapere gaio. Un sapere che sia allo stesso tempo gioia e condivisione. Prima di morire voglio salvarmi, sanarmi e vivere contento.

Lei ha parlato di “malattia” dell’università: da quanto tempo è malata, di quale malattia si tratta e come può guarire, se può?

La malattia fondamentale sta nell’arretratezza culturale e morale della classe politica italiana; sono loro che fanno le leggi e governano, sono i responsabili in senso lato e preciso. Da 40 anni a questa parte l’università è stata continuamente riformata, sempre peggio e senza mai avere un piano razionale e giusto. Negli ultimi 20 anni questo processo è diventato in maniera vorticosa “depravante” e degradante. L’università e la ricerca sono sempre più tagliabili, dimenticabili e trascurabili. L’Italia dedica l’1% del Pil alla ricerca mentre la Germania ne dedica il triplo. Scivoliamo sempre più in basso perché sappiamo solo tagliare la ricerca, il pensiero e le arti. Questa è la malattia italiana: non essere ancora una vera repubblica. Repubblica è comunità e cosa pubblica, di tutti e non di un monarca!

Siamo una democrazia repubblicana imperfetta e marcescente. La nostra storia è, come ho scritto nel libro Decolonizzare l’Italia, la storia di una terra che sin dai tempi dei fenici e dei greci è stata colonizzata. I romani erano una “città”, non un popolo.Tito Livio scrive che Romolo raccolse gente che veniva da tutti i posti; malfattori, ladruncoli e poco di buono, fondando così Roma. E Roma è sempre stata “Urbs” che parla a “orbi”, al mondo. Roma colonizzò l’Italia e tutti i suoi popoli. L’Italia era la prima colonia romana. Per millenni siamo stati colonie di altri stati-nazione europei fino alla colonizzazione dei Savoia. Dico colonizzazione perché i Savoia erano una dinastia francese. La Savoia non è una regione italiana. I Savoia erano duchi e sono diventati Re acquisendo la Sardegna, diventando prima Re di Sardegna e con l’unificazione re d’Italia. Occuparono militarmente il Sud Italia: interi paesi furono distrutti e gli abitanti fucilati. Milioni di loro se ne andarono verso le lontane “Americhe”. E non siamo ancora una nazione, non dipendiamo ancora dal potere tuttora “temporale” del Papa? Solo in Italia i cittadini versano le tasse al Papa mediante il dispositivo infernale dell’otto per mille. I francesi o gli spagnoli, cattolicissimi, non danno i soldi al papa per legge e non pagano l’Ici del Vaticano. La chiesa cattolica ci impone come nascere, come vivere e come morire. Ma non dal punto di vista etico, bensì da quello dallo spirito che detta le leggi: contro l’aborto e sull’uscita coatta dalla vita. Siamo ancora colonia della chiesa cattolica e nell’ultimo ventennio colonia di un novello padrone: Silvio Berlusconi. Queste sono due malattie della repubblica degli italiani. Questo “sgoverno” ha smantellato il welfare, la cultura, la scuola e l’università, le arti e le vite.

Spiegato in questi termini questa malattia dell’Italia sembrerebbe essere arrivata allo stadio “terminale”, di difficile guarigione. Molti docenti, quando vanno in pensione o cambiano ateneo, dichiarano che l’esperienza più bella avuta dall’università è stata il rapporto con gli studenti. La sua lettera lascia intravedere un messaggio di speranza: che consiglio dà quindi agli studenti e ai giovani su come affrontare questa situazione non solo nell’immediato, ma anche in un futuro meno prossimo?

Questa riflessione/domanda è molto importante venendo da un giovane. Come si fa a risanarci da questo orrore che ci è capitato e che abbiamo voluto noi stessi? Io so quello che farò: se finora ho resistito qui dentro, ora vado fuori a parlare ai bambini e ai malati, agli anziani e alle maestre. Allo stesso tempo nel mio piccolo continuerò a condurre un’opera di risanamento culturale. Noi intellettuali abbiamo guadagnato rispetto se abbiamo lottato in questi anni per la civiltà e non per la barbarie. So di averlo fatto, ma ora abbiamo un compito. Risanare, come e quanto sarà possibile, la vita culturale e mentale delle giovani generazioni. Ho speranza in loro e per loro, ma pretendo che reagiscano sul serio. Se non gli studenti universitari delle facoltà umanistiche, per primi chi allora? Gli operai che vanno sui tetti costretti dalla disperazione, perché non riescono a mantenere i figli? Non si può chiedere a loro anche questo. Dovremmo chiederlo ai farabutti che si riciclano? Dobbiamo farlo noi che abbiamo tenuto il fronte della resistenza e che abbiamo ancora qualcosa da dire e da fare. Ma voi dovete aiutarci ad aiutarvi. Se siamo scollati e dispersi, sarà molto difficile. Non credo che quelli che verranno dopo Berlusconi faranno delle leggi perfette e buone. Non mi pare che ci siano in Italia persone veramente capaci di civiltà e giustizia.

Non bisogna mai mollare l’attenzione sul potere, non lasciare che coloro che vanno al potere facciano i loro fatti. Prendere esempio da un giornalista come Marco Travaglio, che lo fa con sagacia e ragione. Deve ristabilirsi in Italia una critica civile della ragione. Com’è possibile tagliare le arti nel paese delle arti, in Italia, nazione che ha costruito ville e palazzi e scritto musica per il mondo intero? I teatri sono costretti ad auto-finanziarsi ospitando matrimoni. I valori di una repubblica vera sono il welfare, lavoro e dignità per i giovani e le donne, coscienza e conoscenza.

Ogni anno ad Ottobre la Liguria frana e a Settembre sono franate Campania e Sicilia. Tutta l’Italia frana. Sfrenati a costruire a tutto spiano col cemento ovunque. Noi stiamo molto al di sotto del livello mentale e culturale della civiltà europea. Abbiamo dato la possibilità ad una classe dirigente di farabutti di “sgovernarci”. Arrivando non solo a tagliare le risorse alla scuola e all’università per risanare i conti dello stato, ma addirittura alle arti! In Italia, come altrove, è una bestemmia.

Il messaggio che manda agli studenti è che le cosa che le sta a cuore è una collaborazione assoluta tra corpo docenti e corpo studenti. Allo stato attuale vede dei segnali positivi in tal senso?

All’interno dell’università no. Vedo solo una difficile e un po’ stentata protesta contro la Gelmini e contro la nuova riforma. I docenti dovrebbero chiudere le università. Invece si barcamenano. I partiti politici non danno nessun lume perché non ne hanno per sé. Gli studenti non possono avere la maturità e la responsabilità politica per opporsi frontalmente al degrado generale. Non possiamo chiedere ai ventenni una forza politica tale da chiudere l’università davanti ad una legge sbagliata, e con un corpo docente “slabbrato” e depravato dal potere.

Lei sta constatando che da parte del corpo docenti sia stato assorbito l’insegnamento che gli italiani stanno ricevendo negli ultimi 30 anni da parte della stampa?

Direi di sì. Ci sono le eccezioni, come sempre. Ma le eccezioni oggi non riescono a trovare e ricevere udienza pubblica. Non sono accettate dalla comunicazione di massa, se non in piccolissime nicchie come nelle trasmissioni di Augias, a ora di pranzo su Rai3, dove la cultura libera degli scienziati e dei filosofi, degli storici e dei letterati ha ancora cittadinanza. Altrimenti, dobbiamo accontentarci, ma io non mi accontento affatto, di Fabio Fazio, il quale fa cultura-spettacolo che sembra illuminata, ma in realtà serve il mercato, con una patina di sinistra politicamente corretta e buonista. Umberto Veronesi ha pubblicato un best seller annunciato, non uno scritto di medicina ma di “humanitas”, va da Fazio. Tony Blair ha appena pubblicato il suo capolavoro, Tony Blair va lì. Non è questa la cultura, è solo spettacolo-vetrina di celebrità. Ho ricordato Augias perché ogni giorno parla di un libro con un scienziato, con un filosofo, con un teologo o un ricercatore sociale, facendo esporre il loro pensiero e non rinunciando, lui per primo, alla vera conversazione critica, e non attraverso interviste melense e ammiccanti come quelle di Fazio, che cercano solo applausi – e spesso per Fazio. Augias esprime un suo pensiero perché ce l’ha, Fazio no, è solo un bravo trafficante di comunicazione televisiva. Siamo ridotti, insomma, a “Che tempo che fa?” e al programma di Augias, entrambi poi sul canale Rai3. I canali di Berlusconi non sanno cos’è la cultura. Ospitano barzellette e mignotte, “sgarbi” e “marchette”. Gli altri due canali pubblici si sono, negli ultimi 10 anni, sempre più allineati sul format berlusconiano. La7, idem. Sky è commerciale, non è protetta dallo stato perché non è Mediaset, ma fa del giornalismo decente, quello che le televisioni di stato e parastato non vogliono e non saprebbero fare.

Ricordando personaggi scomparsi di recente e rilevanti nel nostro piccolo come l’indefesso giornalista Pietro Calabrese e personaggi di importanza globale come Levi Strauss sono stati, in contesti differenti, professionisti e/o intellettuali che avevano un terreno fertile nel quale lavorare. Vivevano in un contesto socio-culturale predisposto nei confronti di figure di questo tipo. Attualmente troviamo una sorta di ostracismo verso chi vuole approfondire e diffondere l’oggetto dei propri studi. Secondo Lei le generazioni a seguire avranno un terreno altrettanto fertile?

In Italia il terreno fertile attualmente è fertile di idiozie, violenza e volgarità. L’Italia nei confronti dell’Europa è una nazione che non lo è mai diventata. Portogallo, Inghilterra, Spagna e Francia hanno creato la modernità. La nostra storia invece è handicappata. Dopo la notte che non passa mai non so se l’Italia abbia in serbo una rinascenza repubblicana.

Un consiglio ai giovani?

Non perdere la speranza, “spes ultima dea” dicevano i latini. La Speranza è stata l’ultima a rimanere tra gli umani ed è allacciata alla giovinezza. Se non l’avete voi non so come sia possibile per tutti noi rifiorire. Speranza non vuol dire aspettare che il mondo cambi ma vuol dire fervore. La mia generazione immaginò una “rivoluzione”. Oggi non ha più senso pensare e parlare così.

Qual è il ricordo più bello legato a questa facoltà?


Non ho nessun bel ricordo legato alla mia docenza a Lettere. Ho sempre vissuto con rabbia e lottando contro. Cercando di non soccombere. Ho buoni ricordi della mia vita con gli studenti: con loro abbiamo fondato una rivista critica di letteratura comparata che era letta in tutto il mondo scientifico internazionale. Ha avuto vita dal 1990 al 2000, si chiamava I Quaderni di Gaia, vi scrissero i maggiori comparatisti del mondo, accanto ai miei allievi. Rarissimamente ospitammo contributi accademici italiani. Finì perché non trovammo più un editore. Con il sopravvento di internet non era più possibile pubblicare su carta una rivista senza avere molti soldi.

Parlando di interdisciplinarità, com’è stato il rapporto tra i vari docenti anche dello stesso dipartimento?


Un muro di chiusura. Come fanno gli israeliani coi palestinesi: “Il territorio è mio, tu stai dietro il muro e non rompere”. Come docente sono stato uno straniero in terra straniera. Da studente fui invece lieto allievo di grandi maestri: Emilio Garroni, Tullio De Mauro, Guido Calogero,Walter Binni, Giulio Carlo Argan

Parlando della sua formazione culturale, come si è avvicinato alle letterature comparate e alla creolizzazione delle letterature?

Mi sono avvicinato a questa disciplina, essendo in Italia uno dei primi e pochissimi a praticarla 30 anni fa, mentre in tutto il mondo i dipartimenti di comparatistica sono i più vivaci e ricchi, facendomi incuriosire da un fenomeno che nasceva nel 1990 e che io ho intercettato per primo: ovvero gli scrittori “immigrati” che pubblicavano in Italia. Su questo fenomeno nascente scrissi un libro nel ’92Il rovescio del gioco in cui proclamai che qualcosa di nuovo accadeva nelle patrie lettere perché in italiano scrivevano persone che venivano da tutto il mondo. Scrivevano per farci sapere che esistevano e pretendevano l’ascolto. Attraverso gli scrittori migranti ho aperto il raggio del mio interesse sulla letteratura mondiale. Letteratura mondiale che però era eurocentrica, incentrata sull’occidente e sull’Europa. E fuori dall’Europa? Cominciai a mettermi all’ascolto degli indiani, dei caraibici, degli africani etc. In questi giorni esce presso Bruno Mondadori (non Arnaldo Mondadori!) il libro La letteratura del mondo nel XXI° secolo sullo stato della letteratura mondiale oggi, che ho scritto in collaborazione con le mie allieve Nora Moll e Franca Sinopoli.

Lo stato della letteratura italiana attualmente qual è?


Non riesco ad entusiasmarmi con la letteratura italiana contemporanea. Le opere proposte sono deprimenti. Lo stesso Gomorra è scritto abbastanza male. Saviano è un giovanotto che vive recluso ed è stato portato a credersi un illuminato, crede d’aver capito il mondo e di saperlo spiegare agli altri. Mi sembra che Saviano venga sempre più “prodotto” come un mito mediatico da parte della comunicazione di massa politicamente corretta. È preoccupante che questo giovane non venga più educato e fatto crescere nel suo talento, e che venga solo e continuamente “celebrato” in quanto recluso. Un altro esempio: La solitudine dei numeri primi è un libro per gente che è felice! Se uno sta minimamente preoccupato per come va la vita sua e in Italia con questa libro si deprime. Sembra una cura depressiva, una storia tristissima e inutile: un milione e mezzo di copie, un libro così mi sorprende! Perché temo che impedisca a molti di leggere Dostoevskij, solo perché è morto da tanto tempo, non è attuale ecc. La Mazzantini non sa narrare. Scrive in un italiano pesante e insoluto, romanzi grossi, scollati e malmessi. Emmaus di Baricco è penoso, non sono riuscito ad arrivare alla terza pagina. Cosa devo pensare della letteratura italiana contemporanea se mi dà solo cose insignificanti, deludenti e deprimenti?

Leggo i miei contemporanei del mondo: africani, caraibici, indiani come Rushdie, Vikram Seth oAmitav Ghosh, Cormac McCarthy, De Lillo, latino-americani, qualche buon poeta europeo; e Dostoevskij! La letteratura italiana contemporanea è una combriccola di combriccole che si sostengono a vicenda e che si appoggiano alla comunicazione di massa di Mondadori e compagni per arrivare alla poltrona di Fabio Fazio. Antonio Albanese, invece, è un genio.

Lei ha lasciato agli studenti un messaggio incoraggiante. Che messaggio lascia invece ai docenti suoi colleghi e ai futuri docenti, che attualmente potrebbero essere i suoi studenti?

Ai miei colleghi non lascio alcun messaggio. Ai giovani che intendono intraprendere la carriera universitaria dico che la situazione è infame. Un mio allievo palermitano, che ho esortato a scrivere un saggio dalla sua bella tesi di laurea, mi mandò una mail segnalandomi un fatto di cronaca agghiacciante: Norman Zarcone, dottorando di 27 anni in Filosofia del Linguaggio alla facoltà di Lettere di Palermo, stava per presentare la tesi di dottorato ma si era buttato dal settimo piano. Il padre, forse eccedendo, parla di omicidio di stato. Questo giovane pre-ricercatore era molto preoccupato dalla precarietà che lo attendeva nella difficile carriera di ricercatore. Prima che essa arrivasse lo ha consumato: la precarietà! Se è questo il destino che la nostra mala società offre alle giovani intelligenze dico che è veramente difficile dare speranza ai ragazzi. Se l’unica speranza siete voi, questo non vale per fare carriera universitaria. Dare speranza su questo punto è nocivo, non si può illudere i giovani. L’assegno di ricerca e il posto di dottorato lo daranno ai “figli, ai nipoti, agli amici di QUELLIche comandano. Non puoi non incitarli a provarci, ma non puoi illuderli minimamente. Anzi, bisogna educarli prima. La situazione è la peggiore possibile, soprattutto nelle facoltà umanistiche. Il padre di Norman Zarcone non è un barone di medicina, non è un editore famoso, non è un capomafia né un governatore. Se il padre fosse stato uno di queste eccellenze forse Norman avrebbe avuto meno angustie d’animo per il suo precariato.

Io non vendo fumo e materassi, non posso illudere. Creare illusioni ai bambini e ai giovani è un peccato gravissimo. Il giovane ci crede perché ha speranza ma non può essere prodotta dall’illusione. Possiamo e dobbiamo essere guide: esortare dicendo a chi lo meriti: ”tu sei bravo, scrivi un saggio, ti guido e ti aiuto a pubblicarlo”, ma non posso dire “tu sei bravo, avrai un posto da ricercatore”.