sexta-feira, 12 de fevereiro de 2010

Centro

Centro
armando gnisci

Università degli Studi di Roma "La Sapienza"


...ita res accendent lumina
rebus
Lucrezio


“Nascere in terra di camorra […] significa avere un vantaggio, portare su di sé un marchio impresso a fuoco che ti orienta a considerare l’esistenza un’arena dove l’imprenditoria, le armi, e persino la propria vita sono solo ed esclusivamente un mezzo per raggiungere denaro e potere: ciò per cui vale la pena di esistere e respirare, ciò che permette di vivere al centro del proprio tempo, senza dover badare ad altro.” Così scrive Roberto Saviano, nel suo romanzo-saggio-reportage Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra (p. 294; sottolineatura mia)1.

Stare, anzi, sportarsi al centro del proprio tempo, è forse l’unico modo per poter pensare oggi qualcosa come il centro, senza dover subito chiedere: il centro di che? La misura “ideale” per allocare il centro nella nostra mente che si interroga oggi sul significato delle parole è l’individuo che arriva a sapere di sapere di aver conquistato il centro del proprio sé per proiettarlo sul proprio tempo. Il tempo di ora che mi sento arrivato al centro dove si arriva solo se vuoi il centro, che non sta da nessuna parte se non in questa capsula centrale della propria volontà di potenza diventata potenza di comando, mediante il cumulo consustanziale di denaro e potere che forma e porta la mia immagine al centro. Il camorrista è, a sua volta, il simulacro e lo specchio di ogni conquistatore-governatore che conquisti il suo centro e lo imponga a tutti.

I vari “centrismi” dai quali 2 proveniamo: il terracentrismo, l’eliocentrismo, l’antropocentrismo, l’eurocentrismo il nazionalcentrismo, sono liquefatti sui margini, e scoppiati, alcuni già da tanto tempo, dentro il buco nero del nonsenso: siamo diventati tutti liquidi e periferici, passando per orbite opache e senza fuoco, cometarie a tempo indeterminato, più che planetarie. Voliamo verso altrove, senza meta, orari, e appuntamenti. In questo caos-mondo (Glissant) è diventato centro immaginato la dimensione immateriale del “nostro tempo”; e questo significa il passaggio che ognuno compie nella durata precaria e imprevedibile della propria esistenza. Il nostro tempo non
conosce più la comunità e la mutualità (inter se mortales mutua vivant, scriveva Lucrezio)..

A questa desolazione del centro – una terra dalla quale è andato via da molti giorni il sole ed è rimasta immondizia/Waste – bisogna reagire aprendo “nuovi centri”, dove gli umani vivano delle cose comuni, tra loro e con le altre specie e con le cose che si illuminano a vicenda passando attraverso “la rete infinita delle reciprocità”, come scriveva Sartre nell’Introduzione a I dannati della terra di Frantz Fanon, per arrivare a quel “mondo del Tu”, pensato proprio da Fanon, e non da un prete cristiano o da un filosofo ebreo, nelle ultime righe di Pelle nera, maschere bianche.
Un mondo così non ha centro, è un Tutto-Mondo, come dice Glissant, letterato martinicano come Fanon e Césaire, in cui si può arrivare, attraverso la luce lucreziana, a costruire una semplice e giusta “mente centrale”:

Di questa luce stessa, della mente centrale,
Facciamo un’abitazione nell’aria della sera

Tale che starvi insieme è sufficiente
Out of the same light, out of the central mind
We make a dwelling in the evening air,
In wich being there together is enough.


Scrive il poeta del XX secolo, Wallace Stevens. Una mente centrale somiglia alla relazione comunitaria dell’ubuntu, il concetto tradizionale bantu del centro che si produce dove si sta bene insieme. As you like it.

1 Milano, Mondadori, 2006. Perché cominciare a parlare del centro proprio con questa citazione? vi starete chiedendo. Perché in questa frase e nel libro che la contiene, un giovanissimo scrittore italiano ha sintetizzato, attraverso il racconto dell’orrore di fondo che tormenta la nostra “patria”, così come quello del nostro intero mondo, il senso oscuro della cosiddetta globalizzazione e il senso in chiaro del nostro tempo, il metallo urlante che vibra sotto il pavimento sia della ricchezza che della disgrazia, e il suo svelamento (un po’ come nella cinematografica trilogia epicofantastica di Matrix). E anche il senso inaudito che accomuna chiunque scelga di “dire la verità”, come sosteneva Edward Said, un comparatista palestinese che cerco di assecondare come posso. Questo pezzo di Saviano è per me illuminante per il modo in cui traduce il senso dell’arrivare a vivere come “padrone di sé stessi” – Platone dice così nelle Lettere – dentro il proprio tempo, però; che vuol dire: nella relazione tra sé e il mondo nel quale si è capitati a di vivere; capitati vuol dire: dalla nascita alla morte di chiunque sia (venga e vada) al mondo, tra le due porte misteriose e blindate dell’esistenza. Saviano traducendo il lato oscuro della forza, il rovescio perfetto del platonismo e del buonismo, la delinquenza camorrista campana, definisce in maniera ardita, ma massimamente adeguata, la condizione della coscienza di sé nel mondo umano, troppo umano di oggi. Insomma, la parte che ho corsivata del brano mi risulta icastica e fruttuosa. Essa permette di pronunciare e di riformulare il concetto di “maturità” (la Ripeness di Shakespeare, tanto ansiosamente amata da Pavese) perché possa essere declinato dentro l’oscillazione massima possibile della specie: dal polo del sapiente platonico-santo cristiano a quello del camorrista mondiale del XXI secolo. Meno male che c’è un estremo solamente umano da poter vivere, anche se è il più aspro. Meno bene che il camorrista sia un tratto specifico e aggiornato della “identità” italiana oltre che della sua immagine, o metafora. Una identità criminale che imbratta e impanica le esistenze di tutti e che adombra tutte le altre che bramano centro.

2 Ho composto una rete da gioco di parole e concetti, nella quale pesano The Waste Land/La terra desolata,di T. S. Eliot, il sole (e l’insolazione circadiana) e l’immondizia [Waste]. Spero che sia digeribile. Del resto, unletterato scrive queste cose, che sono concrete allegorie e simulazioni, finzioni e bagattelle, non astratte,però.

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